Scritto da © Giuseppina Iannello - Ven, 09/02/2018 - 16:43
Ero a Firenze, solo da cinque giorni e sulla via di scuola tirava un venticel, che, stranamente, non mi offendeva... Anzi, donava enfasi ai polmoni. Avevo trentun'anni...
E la mia vita... Ritornava a fiorire. Non mi pentivo della scelta fatta, né d'avere lasciato quella casa, in via Pratesi. Tra Firenze ed Urbino, c'era un ponte, che conduceva alla prima casetta; nella seconda che era ancor più bella, c'era il mio amore, giunto poco dopo.
Stretti l'un l'altro, ci giurammo amore.
Era il mio primo giorno di lavoro, nel ruolo di docente in una scuola. Mi destavo felice e ti dicevo: “Oggi è i giorno più bello: ti prendo a braccio; tu mi accompagni a scuola.”
Sentii un soffio leggero fra le tempie e le ciglia, la carezza di un bacio.
Lungo la strada, fummo silenziosi, pure volendo dire molte cose, per sentire il calore della mano. Ma prossimi al cancello, rompevi il tuo silenzio, per dirmi: “T'amo tanto; ti faccio tanti auguri.” L'abbracciavo più forte e le dicevo: “Non vorrei separarmi.” Mi rispondeva: “Sono nel tuo cuore.” Eravamo in anticipo... E le dissi: “Voglio farti un regalo...” Sollevasti lo sguardo in un sorriso, accostando la nuca sul mio petto, mentre, mi rispondevi: “Amore mio, mi basta solo, sapere che sei vivo.” Rispondevo: “Puoi essere sicura; saremo vivi entrambi. La rosa che raccolsi in un giardino, mi parla di una bimba e del suo nome, perché, sporgeva il suo capino rosa, nell'onda iridescente di un ruscello. Voglio darti una figlia.”
M'abbracciava, commossa... Vidi quegli occhi, così inclini al pianto, lasciar cader le lacrime, guardare il ciel, le stelle... Raccoglierne un rametto, per un mare di sogni.
La proposta indecente
La signora Alverani, la incontravo a fine lezione. Mi accorsi che fuggiva lo sguardo. Mi avvicinai e le dissi: “Signora, mi auguro stia meglio.” Sollevava lo sguardo e mi diceva: “Professore, sto meglio; riguardo a stamattina, è meglio, non pensarci...”
“Se non vuole parlarne, non insisto... Sappia che può contare su di me.” Rispose: “La ringrazio; oggi son così poche le persone che si preoccupano dei loro fratelli, che sento anche il dovere, di dirle cosa m'è successo.”
”L'ascolto...”
“Stamane, non appena la porta si richiuse, vidi venirmi contro il cappellano... Con l'insolenza di chi vuol far capire d'esser cordiale, mi apostrofò: Sandrina... l'hai veduto, il Professur... che l'è un bel tom... te piase?”
Arrossivo, ma finsi di non capire... e sperando, ch'egli stesse celiando, rispondevo: “Alla mia età, ella deve sapere, che non si pensa a certe cose... poiché, ella è un veterano, potrebbe dirmi se in questa scuola c'è un incipit?” Mi rispondeva, come chi parla ad un'oca...
“Sandrina, sei vissuta, al tempo dei Nababbi? L'incipit è un oggetto, ormai, in disuso... Lo usavano ai tempi...” E qui, Alessandra, si interrompeva per non recarmi offesa; captavo il concetto di osteggiati precettori. “Continui,” Le dicevo... E la invitavo a non aver riserve, che non giova. Mi guardò, come a volersi scusare; poi, tutto in un fiato, mi disse: “Sandrina, tu ci tieni al professore... Dimmi cosa ti serve... “
“Un pizzico di incenso...” Bisbigliai.
Rispose, alzando il tono della voce: “Ma tu vaneggi!... L'incenso è come l'oro...”
Poi, come folgorato dal rimedio, si volse, facendo uno sberleffo: “Sai che ti dico... Forse, hai ragione... Se sei boccata verso il Professore e non riesci a dire, ciò che brami, a me che sono solo un cappellano, puoi mettere da parte il tuo pudore, e abbandonarti ad un amplesso.”
“Gli dissi ad alta voce si vergogni!!!” Il segno, unito al grido, era sì forte, che ne ebbe paura.
“Come non detto,” disse. “Non è il caso di farne un... Te lo regalo... ma tien la bocca chiusa.”
“Diamine!” risposi, “spoetizzato, quel tizio ha oltrepassato ogni limite; adesso vado e gliene dico quattro...”
“Non vada... Sarebbe stato meglio non parlare... Non mi metta nei guai.”
“Non le succede nulla; stia tranquilla.”
Mi congedavo, lasciandola, in classe, ma... era ovvio che avrei fatto qualcosa.
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