Scritto da © Giuseppina Iannello - Sab, 31/08/2013 - 08:18
Parla nonna Giuseppina:
Così, facendo il segno della croce, mi accomiatavo dai miei salvatori.
Sapevo che la mia non era stata una morte apparente; nemmeno quella di Lio; ma dovevo raggiungerlo per dirgli di aspettarmi ancora sulla terra. Una nave ci avrebbe riuniti; poi, l'avrei atteso nella dimensione parallela.
La nave era da sola e ci attendeva, Amore.
Raggiunto il mare e il vento, diventavo aria e luce. Mi avvinse lo splendore del quarzo, sulla sabbia... Sembravo quasi non più cosciente dei miei ricordi. Ma Tu, mi venivi incontro... “Pinuccia!... Mi stavi abbandonando?”
Ci gettammo l'una nelle braccia dell'altro: “Amore, come avrei potuto!”
Poi, riprendemmo le fattezze umane, ma solo per potere accedere alla nave. Tu mi dicevi: “Amore, ho solo il passaporto e solo quattro soldi.”
“Fa niente” rispondevo; “non c'è nessuno a bordo.”
Fu così che ci imbarcammo e viaggiammo indisturbati, non senza darci tanti baci. Ricordi?...
C'era anche un ammiraglio che ti insegnò i comandi, poiché eri al timone.
Gli dicevi: “La nave non è mia; ma in qualche modo me ne intendo. Comunque, la ringrazio; A buon intenditor non si rifiuta una sana lezione.”
Salivano dopo, altre persone, ma, per un breve tragitto.
Così, facendo il segno della croce, mi accomiatavo dai miei salvatori.
Sapevo che la mia non era stata una morte apparente; nemmeno quella di Lio; ma dovevo raggiungerlo per dirgli di aspettarmi ancora sulla terra. Una nave ci avrebbe riuniti; poi, l'avrei atteso nella dimensione parallela.
La nave era da sola e ci attendeva, Amore.
Raggiunto il mare e il vento, diventavo aria e luce. Mi avvinse lo splendore del quarzo, sulla sabbia... Sembravo quasi non più cosciente dei miei ricordi. Ma Tu, mi venivi incontro... “Pinuccia!... Mi stavi abbandonando?”
Ci gettammo l'una nelle braccia dell'altro: “Amore, come avrei potuto!”
Poi, riprendemmo le fattezze umane, ma solo per potere accedere alla nave. Tu mi dicevi: “Amore, ho solo il passaporto e solo quattro soldi.”
“Fa niente” rispondevo; “non c'è nessuno a bordo.”
Fu così che ci imbarcammo e viaggiammo indisturbati, non senza darci tanti baci. Ricordi?...
C'era anche un ammiraglio che ti insegnò i comandi, poiché eri al timone.
Gli dicevi: “La nave non è mia; ma in qualche modo me ne intendo. Comunque, la ringrazio; A buon intenditor non si rifiuta una sana lezione.”
Salivano dopo, altre persone, ma, per un breve tragitto.
Parla il nonno:
Ora, ricordo, Amore...
Ricordo la gioia dei tuoi occhi,quando ti dissi: “Sai cosa ho pensato...?”
Andremo dal tuo babbo... e poi alle Baleari.
Rispondevi: “Mio padre sarà felice... Egli era presente al nostro sposalizio.”
Ogni volta che si parlava dei tuoi genitori, Eleuteria e Don Fernantes, Tu non potevi non commuoverti.
“Si amarono immensamente” mi dicevi. “Poi, mio padre partì per sedare, in quanto sacerdote, insieme ad altri volontari, le rivolte intestine, in Spagna e in Portogallo; Egli, non poteva immaginare che le cose si erano messe così male, da precludergli il ritorno”.
Intanto, il cielo, si oscurava, preannunciando una tempesta. Non pensammo al peggio; sapevamo che la nave, si sarebbe ribaltata, per far convergere le nostre esistenze ma fummo in pena per i nostri figli che erano nell'immaterialità del preesistente.
La nave fece un giro su se stessa; i nostri figli li vedemmo con terrore, rimbalzare... Ma l'uragano, fortunatamente, li sospingeva verso la riva.
La nave sprofondava, lasciando un relitto. I nostri figli e noi eravamo salvi.
Quando la tempesta si fu placata, te li mettevo in grembo ad uno a uno i nostri piccolini e ti dicevo: “Questo è Giovanni; vuol fare il capitano...
Questa è Maria, come la Vergine di Lourdes; ella sa di ricamo e di cucito.
Questo è Pasqualino che suona il liuto e anche il violino; ed ha l'hobby della meccanica, come il suo babbo.
Questo è Ninuccio che ama la poesia e venera i poeti; ti somiglia tanto Amore mio.
Questa è Francuccia, la più sperperona, perché ha sprecato le opportunità, riconoscendosi solo nel 1900.”
I figli rimanevano nel preesistente, e sarebbero venuti al mondo con gli occhi molto belli, ma l'espressione di un cielo stanco dopo la tempesta.
Noi, Pina ed io, venimmo ritrovati, al largo delle coste delle isole Tremiti.
Quando ci destammo, eravamo ancora abbracciati e si era già nel 1720.
“Amore”, mi disse la mia sposa; le nostre distanze si sono riavvicinate. Io adesso devo andare...
ma ci parleremo sempre e sappi che ti aspetto nella città di Catanzaro.
Ora, ricordo, Amore...
Ricordo la gioia dei tuoi occhi,quando ti dissi: “Sai cosa ho pensato...?”
Andremo dal tuo babbo... e poi alle Baleari.
Rispondevi: “Mio padre sarà felice... Egli era presente al nostro sposalizio.”
Ogni volta che si parlava dei tuoi genitori, Eleuteria e Don Fernantes, Tu non potevi non commuoverti.
“Si amarono immensamente” mi dicevi. “Poi, mio padre partì per sedare, in quanto sacerdote, insieme ad altri volontari, le rivolte intestine, in Spagna e in Portogallo; Egli, non poteva immaginare che le cose si erano messe così male, da precludergli il ritorno”.
Intanto, il cielo, si oscurava, preannunciando una tempesta. Non pensammo al peggio; sapevamo che la nave, si sarebbe ribaltata, per far convergere le nostre esistenze ma fummo in pena per i nostri figli che erano nell'immaterialità del preesistente.
La nave fece un giro su se stessa; i nostri figli li vedemmo con terrore, rimbalzare... Ma l'uragano, fortunatamente, li sospingeva verso la riva.
La nave sprofondava, lasciando un relitto. I nostri figli e noi eravamo salvi.
Quando la tempesta si fu placata, te li mettevo in grembo ad uno a uno i nostri piccolini e ti dicevo: “Questo è Giovanni; vuol fare il capitano...
Questa è Maria, come la Vergine di Lourdes; ella sa di ricamo e di cucito.
Questo è Pasqualino che suona il liuto e anche il violino; ed ha l'hobby della meccanica, come il suo babbo.
Questo è Ninuccio che ama la poesia e venera i poeti; ti somiglia tanto Amore mio.
Questa è Francuccia, la più sperperona, perché ha sprecato le opportunità, riconoscendosi solo nel 1900.”
I figli rimanevano nel preesistente, e sarebbero venuti al mondo con gli occhi molto belli, ma l'espressione di un cielo stanco dopo la tempesta.
Noi, Pina ed io, venimmo ritrovati, al largo delle coste delle isole Tremiti.
Quando ci destammo, eravamo ancora abbracciati e si era già nel 1720.
“Amore”, mi disse la mia sposa; le nostre distanze si sono riavvicinate. Io adesso devo andare...
ma ci parleremo sempre e sappi che ti aspetto nella città di Catanzaro.
»
- Blog di Giuseppina Iannello
- 558 letture