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fabirob.... Odissea 2 - L'albero dei cento fanti

 
Restammo a guardare imbambolati il meraviglioso cadere della neve in quel prato, sicuri di non aver mai visto un’immagine così naturale riflettersi ai nostri occhi.
Giovanni tremava dal freddo, ma forse l’emozione alimentava quella frenetica vibrazione come per ingannare il gelo che gli pungeva sul naso come avrebbe fatto in estate una zanzara tigre.
<Papà, a che ora torniamo alla locanda, comincio a congelarmi, non voglio diventare un ghiacciolo al limone, dai torniamo!>.
<Va bene Giovanni, ma ora che ci penso, ti devo raccontare una storia che devi assolutamente sentire>.
<Ok, ma incamminiamoci, muoviti!>.
Devi sapere che quel grande albero che abbiamo osservato al centro di quel campo innevato, ha visto chissà quante storie avverarsi sotto i suoi possenti rami, è un Platano centenario, si calcola abbia più di 600 anni e nel secolo scorso durante la guerra di indipendenza fu suo malgrado protagonista di una scena di guerra.
Lo hanno soprannominato l’albero dei cento fanti.
<E per quale motivo papà>?.
Semplice, ora te lo racconto, intanto allunghiamo il passo per rientrare per la cena.
Era un conflitto che pareva non dovesse finire mai, gli Austriaci si battevano come leoni erano meglio armati e professionisti della guerra, organizzati e forti, dove arrivavano gettavano scompiglio tra le truppe avversarie e in genere lasciavano centinaia di morti sui campi di battaglia subendo spesso solo lievi perdite.
Pensa che la loro maestria nell’arte della guerra, li aveva fatti divenire dei veri spauracchi per qualsiasi truppa si confrontasse contro di  loro. Anche nelle scaramucce si distinguevano per la loro precisione e determinata strategia.
Un giorno passò da questo campo il fior fiore di un plotone di fanti, e pareva che non ci fossero truppe avversarie vicino a loro, era estate, il caldo si faceva sentire forte e la truppa era svogliatamente stanca e restia a dover camminare, inoltre erano affamati e assetati visto che già da molte ore marciavano in cerca di pattuglie nemiche da attirare nelle loro reti di sorveglianza.
Il Tenente che comandava il plotone era un giovane di buona famiglia, mai avrebbe pensato di fare carriera militare, ma con la scusa che la sua dinastia era di nobile lignaggio, dovette assecondare le propensioni militaresche che già avevano visto la metà dei suoi parenti costruirsi un futuro per mezzo della carriera militare.
Lui primeggiava invece nello studio e soprattutto nella poesia, un interesse che gli era valsa la nomea di Vate, aveva 24 anni ed era molto intelligente. Non mise molto prima di farsi un nome anche per le sue attitudini strategiche, visto che portava a casa, o meglio in caserma quasi sempre tutta la truppa che comandava. I fanti gli riconoscevano l’autorità di cui era investito, ed avevano imparato a fidarsi cecamente delle sue direttive visto i risultati ottimali che lo vedevano spesso protagonista vincente negli scontri armati con il nemico.
Il caldo dicevo si faceva forte e il sole era ormai oltre lo zenit, la truppa mormorava.
Il tenente così prese la decisione di mandare in staffetta una decina di fanti verso una casa di campagna poco lontana da lì, per approvvigionarsi di pane e salame di vino e d’acqua da bere per le genti ormai stremate dalla marcia sotto il sole e per questo permise di accamparsi in attesa e riposo sotto quel platano che ti dicevo prima le restanti truppe.
Dopo una mezz’ora la quasi totalità degli uomini era assopita in un riposo ristoratore ed in attesa che tornassero gli uomini di staffetta con le vettovaglie per lo spuntino, rimasero di guardia solo tre fanti. Anche il Tenente era assopito, e nel mentre che il sonno ristoratore lo stava prendendo, guardava i rami del grande platano e sognava una vita libera e fortunata, senza sveglie mattutine e adunate, senza ordini da dare a nessuno e fucilate da sparare contro persone che nemmeno conosceva e che per lui potevano essere benissimo suoi amici. La guerra, cosa ci porta a fare, come ci cambia in poco tempo, e come incrudisce gli animi, anche i più nobili e buoni. Si rendeva conto di tutto ciò, ma non aveva la forza di poterlo evitare, per il suo alto senso dell’onore e del rispetto per i suoi famigliari, suo malgrado obbediva al suo ingrato destino.
Se avesse potuto sentire i pensieri dei suoi sottoposti avrebbe ugualmente recepito le medesime istanze, a nessuno piaceva ciò che dovevano fare, e il broncio e la nostalgia di casa erano evidenti segnali sui loro volti stanchi,
Così facendo si assopì appoggiato al grande tronco di quell’albero maestoso. In sogno sentì una voce che lo apostrofava così:
<avvicinati, avvicinati senza paura non usare la forza usa l’astuzia, avvicinati sali i miei rami e resta fermo tra le mie fronde, gioca con le mie foglie e muovile piano non usare le armi lasciale a terra, usa l’astuzia, avvicinati credi nella mia forza, io ti difenderò io avrò cura di te, non aver paura lasciati abbracciare dai miei rami, avvicinati Sali…>.
Poteva essere un tempo illimitato quello che percepiva il tenente in sogno, ma non erano passati più di 20 minuti da che prese sonno.
Un grido lo risvegliò di soprassalto dal suo dormire disturbato, aprì gli occhi e vide le sfumate figure della staffetta che correvano a perdifiato giù per la china verso la loro postazione.
Ci mise poco a capire che qualcosa non andava nella loro corsa stremante, le guardie erano già allertate e la truppa lentamente volgeva al risveglio. Nessuno parlava solo osservavano la corsa dei loro commilitoni che oramai aveva ragguagliato la distanza che li separava dall’ombra dei grandi rami del platano. Giunti trafelati, si misero subito carponi davanti al tenente, che li interrogò circa la loro folle corsa.
<Signor tenente, abbiamo il nemico a un chilometro da qui sono alla fattoria da dove siamo giunti correndo>, <quanti sono>, ribadì il tenente preoccupato e ancora balbettante per il repentino risveglio, sicuramente un migliaio a 2 km di distanza, ma hanno un plotone a cavallo in avanscoperta a un km da qui e ci sono praticamente addosso.
<Vi hanno visti>? Ribadì concitato il tenente, <no siamo corsi via strisciando per un pò poi oltre la china della collinetta ci siamo messi a correre a perdifiato>.
Il tenente restò per un attimo a pensare al da farsi, non poteva permettersi di andarsene da quel posto senza dover essere avvistato dalle vedette Austriache, era troppa la strada allo scoperto che dovevano percorrere, e le forze erano troppo impari per poter sostenere una difesa armata con la prospettiva di tener duro o vincere.
La sua reazione non poteva essere vincente, ci voleva altro.
D’un tratto chiamò i suoi uomini ad ascoltarlo ed impartì questi ordini;<Dovete lasciare i fucili a terra tra l’erba alta ed arrampicarvi tutti sull’albero, nascondendovi con cura tra i rami, non tenete oggetti che luccichino al sole per non lanciare messaggi visivi, fatelo subito e di corsa>.
D’un sol slancio i soldati lasciarono tra l’erba alta spade borracce e fucili e si arrampicarono tutti sull’albero.
Tra i grandi rami espansi all’aria calda di quella torrida estate, trovarono così posto tutti i cento fanti ed il tenente, nel più assoluto silenzio, il tenente diede l’ordine di far muovere le foglie lentamente, come se fosse la brezza a farlo.
Dopo 10 minuti il plotone di cavalleggeri si avvicinò all’albero ma non così tanto da essergli addosso, nessuno dei cavalleggeri vide i fanti abbracciati ai possenti rami, e girarono verso est, lontano da loro.
A Quel punto, i soldati erano tutti a ridere mordendosi la lingua, per lo scampato pericolo e ancora una volta lodarono il loro tenente per le saggia decisione di non aver favorito lo scontro letale.
Così fu.
<Papà è una storia meravigliosamente finita bene, sono contento che sia andata così>.  Queste furono le ultime parole di Giovanni prima di arrivare alla locanda e chiedere subito un bel panino con il salame.
 

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