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Una dritta per vincere il referendum

“Se Renzi perde non è obbligato a dimettersi.”
Trovo il post su Facebook. Quel “perde” è riferito, ovviamente, al referendum cosiddetto “di ottobre”. Una dichiarazione che, secondo la notizia, avrebbe fatto Casini, inevitabilmente e giustamente commentata con la solita sequenza di bestemmie, insulti e parolacce.
Non so se è vero. Purtroppo, Facebook è diventato (o lo è sempre stato?) un eccezionale veicolo per bufale di ogni genere, in particolare di tipo politico, cosa davvero controproducente visto che certe falsità attribuite ai vari personaggi appartenenti a quel mondo alla fine, una volta scoperte non vere, giocano a favore della reputazione di quei personaggi medesimi. Tant’è che a volte mi chiedo se sono gli stessi spin doctor della Boldrini a divulgare affermazioni talmente stupide, odiose e provocatorie a lei imputate che mi rifiuto di credere che possano essere autentiche.
In ogni caso, l’episodio mi offre lo spunto per qualche altra riflessione a proposito del referendum.
Non sono d’accordo con la dichiarazione che (secondo il post) avrebbe fatto Casini. Non so se anche il suo spin doctor utilizza certi mezzucci. Per ovvi motivi: come ho già spiegato in un mio precedente scritto, quel “se perdo vado a casa”, anche se poi è stato trasformato in una micidiale e pericolosa personalizzazione, sarebbe la frase più seria che un manager con un minimo di dignità potrebbe pronunciare nella prospettiva che il suo lavoro venga bocciato, o comunque si dimostri sbagliato. Se Renzi se lo rimangiasse, perderebbe, oltre al referendum, anche la faccia. In maniera oggettiva, intendo. Che la faccia possa averla già persa per il suo operato è una considerazione puramente soggettiva e, da chi non fosse d’accordo, se non altro contestabile.
Come ho già detto, io sono per il Sì, e poiché temo che quella maledetta personalizzazione possa farci perdere una preziosa occasione di risparmiare almeno trecento stipendi da ventimila euro al mese, di cui pare circa metà esentasse, vorrei suggerire al nostro presidente del consiglio una dritta per riparare al danno fatto con la sua onesta, ma inopportuna, promessa. Spero che qualcuno dei lettori di questo scritto possa segnalargliela in qualche modo, così che abbia almeno la possibilità di valutarla.
Una dritta esattamente opposta a quella attribuita a Casini: dimissioni anche in caso di vittoria.
Potrebbe sembrare un controsenso, ma a mio avviso una decisione di questo tipo, oltre ad essere perfettamente coerente, avrebbe una duplice valenza.
La prima, la più importante, sarebbe quella di riparare in maniera dignitosa all’errore commesso con quella personalizzazione, e invalidare il principale motivo di scelta per il NO, cioè avere la possibilità di mandare a casa un personaggio che, certamente, a torto o a ragione, non a tutti è simpatico. In questo modo gli italiani potrebbero concentrarsi sul vero tema della votazione, e chissà, magari capire che quella riforma, se pure non è perfetta, è meglio che niente. Poi si potrà anche perfezionare, magari, ma intanto ci prendiamo qualcosa che è sicuramente più adeguato ed economico di quello che c’è adesso. Bocciarla significherebbe restare nell’attuale palude continuando a sperperare tempo e denaro.  A proposito dell’Italicum, suggerirei agli indecisi di chiedere agli spagnoli cosa ne penserebbero, se gli andrebbe bene una soluzione come quella, o se preferiscono passare altri anni a tornare ripetutamente a votare per riuscire ad imbroccare un risultato che consenta loro la costituzione di un governo.
La seconda motivazione sarebbe perfettamente conforme e consequenziale all’eventuale risultato positivo della consultazione. Una volta stabilite delle regole, in un mondo che ne è privo o, se le ha, sono poco razionali, perché non applicarle subito? Perché non tornare immediatamente alle urne e farle funzionare? Per risparmiare, intanto, un altro paio d’anni di stipendi d’oro a trecento “onorevoli” che tardano o addirittura bloccano qualunque provvedimento (tranne quelli a loro esclusivo beneficio, ma questo è un altro discorso), ma anche per avere subito una forza di governo scelta dai cittadini, con veri poteri e niente alibi, senza coalizioni che sembrano inciuci (anche se nutro per Alfano una certa ammirazione per il coraggio dimostrato nel dire no al suo dio per evitare l’ulteriore disastro di nuove e probabilmente altrettanto inutili elezioni), e portare finalmente un po’ di chiarezza nel nostro quadro istituzionale.
Ovviamente, in questa seconda ipotesi, Renzi potrebbe e dovrebbe candidarsi di nuovo. E magari (ma questo è solo un mio pio desiderio) togliere dalle liste, impedendo loro di poter essere ancora presenti sulla nostra scena politica, quegli inqualificabili individui che oggi costituiscono la minoranza del partito, e che fino a ieri, essendone alla guida, hanno consentito con la loro mancanza di credibilità e la loro inadeguatezza ad un personaggio come Silvio Berlusconi di fare il bello e cattivo tempo per vent’anni. Ma tornare a candidarsi non significa vincere, per cui quelli che vorrebbero vederlo in pantofole avrebbero comunque una chance per levarselo di torno. E poi che dire? Vinca il migliore!
( Vinca il migliore? Già, stavolta l’ho proprio sparata grossa!)
 

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