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Psyco 2

Signori, siccome pare che vi sia al mondo ancora qualcuno che ritiene Psyco un detentore di talento, invece della slot mashine psicopatica che è, racconterò questo episodio. Anni fa, sentii di una mostra il cui argomento era “il male”, a Milano. Poteva essere interessante e pensai di andare a vederla. Non mi riuscì tuttavia, non trovai il tempo. Così ne acquistai il catalogo. Ahimè, senza curarmi di chi fosse il “genio” che l’aveva pensata, o cui era stata fatta pensare. Indovinato! Era il nostro Psyco, o Il servo che dirsi voglia.
Sorpresa sgradevole in sé (per il prezzo del catalogo), col sospetto che non sarebbe stato all’altezza di quella bontà dell’idea da me supposta, e sconfortante all’atto dello sfogliamento del catastrofico qualunquismo del libro.
Ora, il “male” è l’incontrario del “bene”, ossia ne è un postulato logico. Chiunque abbia letto Hegel, sa necessariamente della struttura duale della conoscenza, che si basa su quella del sillogismo. Di modo che se si richiama il male, necessariamente è il suo ribaltamento che vien chiamato in causa. Ossia, né il “male” è solo male, né viceversa. Perciò quel famoso giornaletto satirico si chiamava “Il male”, perché riteneva di schierarsi dalla parte giusta, che era “male” a quella avversa, la quale, in effetti, predicava “bane” e razzolava “male”… Se così non fosse, dovremmo concluderne che, per esempio, il bene è Beato Angelico, e Caravaggio (o Michelangelo, o Baudelaire, o l’intero movimento surrealista) è il male.
Sicuramente questa impostazione mediocre non poteva coincidere con lo sforzo espositivo del Palazzo Reale di Milano, e, nel catalogo, non ostante la presenza di Psyco, avrei certamente ritrovato quella interessante opposizione tra il male come essenza e il male come apparenza.
Ahimè…
Rivendetti il catalogo a metà prezzo, a un mercatino, mentre nei negozi accanto era tuttora in vendita al prezzo di copertina…
PS: è possibile un’analisi comparata tra la demoralizzante mediocrità di quel catalogo e l’approccio ad analogo argomento di una intelligenza autentica, mettendo a confronto lo stupido catalogo di cui mi ero liberato (non lo tolleravo tra le mie belle edizioni) e “La storia della bruttezza” di Umberto Eco.
 

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