la luna piena del villaggio
illumina le ali di uno stormo
che migra verso altri mondi.
Mentre il volo si allontana,
tu abbassi gli occhi
su una maschera di stoffa
che ti nasconde la faccia
e ti acceca le emozioni.
Non è l'aria calda,
ma la rabbia soffocante
che ti fa scoprire il viso
e un raggio di sole
ti fa scendere sulla bocca,
che ti fa sciogliere i capelli
e danzare sui versi di una canzone.
Non ti lamenti per il dolore,
quando senti sulla pelle
il bruciore del castigo,
perché più nulla hai da dire
al tuo infame destino
che ti ha fatta nascere,
dove non ti senti viva.
Né abbassi il capo,
quando vanno via gli aguzzini,
seguaci di un dio che non li maledice.
Non ci sono fiori da innaffiare,
quando sull'erba umida del prato
con la gonna corta e il rosso sulle labbra,
intoni il tuo canto libero,
mentre tua madre si allontana,
provando pena per se stessa
ad averti come figlia
e a doverne chiedere giustizia.
Non ci sono santi in cielo
né uomini sulla terra
che abbiano pietà della tua sorte,
quando ti rincorre la paura,
fino in cima alla rupe.
Non c'è altro che lo zefiro,
fresco e leggero,
che ti bacia e ti accarezza
quando ti lanci con le braccia aperte,
come fossero ali del tuo vento.
C'è chi racconta, da qualche parte,
che nelle notti senza stelle
il tuo pianto si fa pioggia
e che una fata lo raccoglie,
per innaffiare un fiore nel deserto,
sperando che nasca una nuova primavera.
testo di Ardoval
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