Scritto da © Giuseppina Iannello - Ven, 29/11/2019 - 17:56
Ricordo...
Il professore d'Italiano, che,
dopo aver spiegato,
apriva il registro:
tra i banchi, un silenzio assoluto.
“Ehi!, ad uno ad uno,
non c'è bisogno che voi, vi affanniate.”
A volte, invece,
il chiasso andava oltre misura:
il professore così, ci ammoniva:
“Figliuoli, se pensaste, voi un attimo
alla vita, voi non fareste più
tanto baccano.”
Giungeva poi, il professor di Greco;
entrava, come messaggero
d'argomenti leggeri
perché eravam fanciulli e non voleva
che a noi si svelasse il mistero
di un mondo crudele e pur vero.
“Fanciulli,” ci diceva:
“La neve già si scioglie
sulle alte quote,
fra poco sarà primavera
e la prima viola, ravviserete
ai margini dei prati.”
Ricordo... Un altro professore,
dall'aria mesta, anch'egli d'Italiano:
avrebbe voluto che il suo affetto,
quello verso di noi,
si protraesse nel tempo,
ben oltre la scuola.
Mi avvicinai un giorno e gli dissi:
“Professore, noi la salutiamo
e le vogliamo bene.”
Mi guardò, con profonda tristezza
e mi rispose: “Abbi coraggio, figliola;
se mai, ma il ciel non voglia,
ti troverai a fare il mio mestiere,
ricorda: l'amore degli allievi è
molto breve:
è come il sole di marzo.”
E c'era poi, quel profe
che tutti temevamo, quello di Algebra
e Trigonometria...
Mi sta dicendo:
“Oh, finalmente, scrivi:
anch’io fui nell’errore:
amarvi sempre,
non amarvi mai
fu il mio dilemma;
soffrire il mal d’amore,
ma era l'ultimo anno:
e foste buoni,
vi dissi andiamo…
A prendere il gelato.”
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