Scritto da © Giuseppina Iannello - Gio, 16/11/2017 - 17:51
Irene
“La prima cominciò: mi chiamo Irene e fui per breve tempo la consorte di Leopoldo, cugino di un poeta, ma a noi lontano, come sentimento. Leopoldo mi diceva: non venire agli incontri ufficiali... perché non sei del mio ceto sociale ed io non voglio che si dica intorno che ho sposato una nullatenente e poi, mia madre, sappi che non vuole che indossi ciò che a te non appartiene.
Un giorno fui accusata di sottrarre, dalla mia stessa casa dei gioielli e così fui apostrofata: ladra! Fui anche scacciata. Leopoldo, non mi difese, anzi mi impose di non farmi vedere, se non quando avesse chiuso gli occhi. Fu un sacrificio dover lasciare i miei tre figli...”
Imelde
La seconda bambina cominciò: “Io sono Imelde, figlia di Luigia e di Alessandro Morri; se faccio i nomi dei miei genitori, non è per velleità dall'alto casato... esser figlia di un conte m'è costato perché ero innamorata e ricambiata di un giovane signore che gestiva un negozio di frutta e di verdure. La mia mamma mi amava al punto che, non voleva saperne che io andassi sposa e mio padre era unanime con lei. Io non volevo rimanere in casa; ad un certo momento, li persuasi del diritto di ognuno di aver dei figli; sapevo che, essendo religiosi, avrebbero capito.
Il conte Federico Valgimigli si fece avanti e chiese la mia mano: gli fu accordata e immanentemente, fu sciolta la promessa con Giovanni (1). Egli, Giovanni, rimase male, ma non volle turbarmi ulteriormente; mi disse: ti amo immensamente, ma, non sono la persona adatta a te. Sentendo che Giovanni era sincero, quietai il mio pianto, decisa ad ubbidire. Ma, prima di varcare la soglia dell'altare, volevo dare un ultimo saluto al primo amore... perché, se fossi stata ancora fidanzata a Giovanni e poi sua sposa, io, Piermarcello, l'avrei visto sempre: il nostro era un'amore casto. Con Federico, invece, nulla pensavo, avrebbe più potuto, condurmi al primo amore.
Con la complicità di un amico dei genitori ed del buon cocchiere, salivo sul calesse, senza fiato... che immaginavo il gran dispiacere di lui e il mio pudore... abbandonato.
Ma, qualcuno spiava... erano i miei fratelli, Luigi e Geronimo; la mamma era ammalata ed eran andata alla casa di cura con papà...
Capita l'intenzione, i miei fratelli mandarono un segugio, che, brutalmente, mi riportava a casa ed il cocchiere, veniva licenziato. Giunta che fui, al cospetto dei fratelli, mi dissero: ci hai disonorati... D'ora in poi, rimarrai nella tua stanza, a pane ed acqua: per dieci giorni. Io mi difesi, ma non cercai di evadere: ormai sapevo che l'evasione, sarebbe stata solo un tentativo vano.
Federico veniva da lontano ché era stato informato del grave disonore. Giunto che fu alla porta, gli dissero, falsamente compunti: quella disgraziata... Ti ha disonorato; ma, non temere, ché abbiamo sciolto il suo fidanzamento. Federico ascoltò; poi, risoluto diceva ai miei fratelli: portatemi da lei, voglio vederla; voglio che sappia, quanto m'è mancata... non smetterò di amarla. Entrato nella stanza, con dolcezza, mi strinse a se e, con un fazzoletto, asciugò le mie lacrime. Poi mi diceva: chi è quel signore ti porterò da lui e lo saluterai... se poi, vuoi rimanere accanto a lui, io, mi farò in disparte. Sollevando il mio sguardo, incontravo i suoi occhi: era come se per la prima volta lo vedessi... era lui: il mio principe azzurro.”
(1) Giovanni Pascoli.
* Dalla raccolta: "Le sei spose di Giovanni Pascoli" *
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