Scritto da © Giuseppina Iannello - Sab, 16/09/2017 - 16:28
dalla romanza la “Contessina Eufresia”, del mio trisavolo Pasquale Iannello.
Mi vestivo da ambulante
per poterti rivedere
e vendevo le castagne
là, al lato del porton.
Le candele erano accese
in quel freddo carnevale;
tra i coriandoli e le sete,
ti sentivo sospirar.
Ma le dame e i cavalieri
continuavano a danzar.
Mesta uscivi; ti ho veduta
e ti volli salutar.
“Tu mi vedi e mi parli,
signore...
ma perché non rispondi
al mio cuore?”
Mi fingevo un poeta straniero
per poterti un momento parlar.
Alla corte non c'eran “misteri”
chiesi al vate e mi fece danzar.
Mi ricordo... Ti ricordi...?
Noi danzammo di sottecchi,
nel salone tutto specchi,
nel segreto dell'amor.
***
Siamo al tempo della dominazione Austriaca. Per poter vedere la sua Eufresia, Agostino (questo è il nome nel '700 del trisavolo Pasquale), si finge, prima appaltatore, poi venditore di castagne e, infine, poeta straniero... Eufresia è sposata, inconsapevolmente a un dipendente del governo Austriaco, cui viene dato ordine di organizzare molto spesso feste danzanti e banchetti, per allietare la vita degli ufficiali. Il marito della giovane Eufresia, in fondo, in fondo, vorrebbe aiutare quella poverina; per questo si era rivolto all'appaltatore, colui che avrebbe costruito una stanza, una specie di prigione per far sì, che gli ufficiali stranieri non approfittassero della donna, molto bella, e sempre innamorata di Agostino, conosciuto al paese, nella prima giovinezza.
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