Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Sab, 07/03/2015 - 19:01
Ad una amica
Cosa resta dei tuoi giorni passati, sgretolati dalla malattia. Cosa resta degli ultimi saluti, persone affollate attorno a una lastra di pietra mentre il sole volge altrove. Visi contriti e frettolosi, dai passi che fremono verso sconosciuti impegni. La lentezza del dolore che si appoggia con tutta la sua gravità sulle spalle dei tuoi cari.
Il dopo, nella tua camera, con gli uomini dell'impresa che smontano i paramenti e ripiegano il tavolino. Scompaio gli addobbi apparecchiati per un cerimoniale che si ripete stancamente di famiglia in famiglia.
Cosa resta nel vuoto della camera, priva dei tuoi passi, nel silenzio del meriggio che sembra farsi partecipe della tua assenza. Che cosa resta?
Avevi sei anni quando era terminato il secondo Conflitto Mondiale.
Osservo la fotografia, appesa nel silenzio del muro, di quella ragazza dei primi anni del boom economico: sei seduta su una Vespa, con la tua gonna a pieghe, e sorridi. A diciotto anni la vita è un album da disegno ancora da colorare. Passeggio nella camera, dove qualche ora prima ciò che restava di te era lì statuario e privo di quell'energia che contraddistingueva i tuoi giorni. Osservo le crepe dei listelli del parquet e penso a quanti tuoi passi hanno contato. Anche loro, rughe rassegnate dell'usura del tempo.
Il buffet, privo delle scatole dei medicinali, delle flebo, riflette tutta la sua lucida nudità, nella camera che racchiude il silenzio dell'istante. Cosa resta dei tuoi pensieri che si sono riflessi tra queste pareti, dei tuoi sogni, viaggiatori immobili nel tempo e dei tuoi affanni?
Una vita scandita tra due date, un filo teso tra due punti distanti del tempo. Cerco nel ricordo la tua voce, accompagnata dal tuo sorriso, ma il ricordo latita, si fa confuso e sommerso da immagini dei giorni conviviali trascorsi con te e i tuoi famigliari, degli anni che sono volati via come piume al vento.
Che cosa resta di noi? Dei nostri passi, dei nostri destini?
Frammenti di ricordi, contrassegnati da date stinte nel vortice del passato. Qualche cerimonia: una prima comunione, un matrimonio, una vendemmia, qualche fiera di paese, il passo dei giorni che segnano lo scorrere di una vita.
Guardo la tua fotografia, il ricordo si posa su quel pranzo conviviale dove tu mi chiedesti di scattarti una fotografia, così da averla sulla tomba. Il destino a volte è ironico nel suo misterioso percorso, e così è stato. Bisognerebbe distruggerla quella fotografia, generatrice di illusioni, Cassandra dei tuoi giorni, e lasciare scorrere la vita lungo il suo percorso, già bisognerebbe...
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