Scritto da © Giuseppina Iannello - Lun, 05/08/2013 - 11:26
Era il primo '900... Mi trovavo a Messina, in uno stato febbrile e confusionale e senza il minimo senso dell'orientamento. Pure sapevo che quella era la città di mio padre, quella di mia madre, per acquisizione e la mia per esserci nato e vissuto.
Camminavo in lungo e in largo...
Alla prima fermata mi fermavo, attratto da una Chiesetta, alla sommità della quale, appariva l'immagine di un Santa; c'era anche un'iscrizione in latino che così traducevo: “A Santa Caterina, io mi soffermo, promettendo fedeltà nelle lettere e nelle arti.” Ed ero ancora, intento alla lettura, quando dal lato destro, vidi venire una vecchina, il volto mesto e l'abitino nero.
Mi domandò, solerte: ”Signore, state bene?”
Risposi: “Veramente... Non mi reggo... Mi sento sbalestrato e piuttosto confuso...”
“Ma cercate qualcuno?”
"Io cercherei la via Dei 4 Arcieri, ove ci sarebbe ancora la mia casa e voglia il cielo, anche i genitori."
Rispose. “Cu stu siccu, fa male camminari. Ma... Intrate nella Chiesa; io sugnu la custode; forse vi posso aiutari.” Nemmeno il tempo di ringraziarla, che la vidi sparire tra le case.
Entrai nella Chiesetta... Mi, inginocchiai al Signore, alla Vergine Santa...
Poi alla Santa Caterina, con la quale mi accorgevo d'essere in mistico dialogo.
“Mia Santa,” le dicevo, “ti voglio tanto bene, il tuo nome lo sento familiare. Aiutami ad uscir dalle mie pene.
Sento il rimorso verso i genitori... Le ultime parole di mia Madre: «Figghiu, se ne vai, che ti imbarchi lontano... Non sai quello che trovi... Né se al ritorno, mi potrai abbracciare.»”
“Figghiu,” rispose la mia Santa. “Non devi biasimarti; se hai cercato un timone, cui aggrapparti, è perché già sapevi che stavi naufragando. Ora, chiedi perdono alla tua mamma; sei sotto l'influenza di Castore e Polluce, che ti saran propizi. Scrivi un sogno in poesia.”
Non appena uscii dalla Chiesetta, vidi la dolce vecchina, venirmi incontro:
“Dunque, dovete sapere che ho domandato a tutti i parrocchiani... Nessuno seppe dirmi... Ma ci sono due coniugi stranieri che forse sanno quale via cercate.
Venite meco... Che ve li presento.”
Valter e Giuliana, li incontravamo sull'uscio; venivano proprio verso di noi. Ci stringemmo la mano cordialmente e nel contempo, li ringraziavo. Valter prendeva la parola: “Dunque, se la memoria, non ci inganna, noi proprio stamattina, vedemmo quella via, con l'iscrizione ancora visibile 'Via Dei Quattro Arcieri'. Questo è accaduto forse casualmente, sì... Perché la vettura che prendiamo giornalmente, per assistere nostro parente malato, ha fatto un giro inconsueto, presumo per motivi tecnici. Andiamo a noi: la strada è dissestata; vi cresce alto il fogliame... Ci sono molti ruderi.” A prender la parola fu poi Giuliana che rivolta al coniuge, disse: “Pure una casa integra noi l'abbiam vista, non ricordi dove? Vicino a un alberello, supponiamo di pesche.” Poi, rivolta a me: “Ho visto ancora intatte le finestre e un lanternino a quella laterale.”
“Grazie, signori, per quello che mi dite. Le vostre parole, mi sono di grande conforto... Perché se quella finestra, ha ancora un lanternino, è segno che la mamma non è morta; certo mi aspetta, insieme al mio papà.”
Poi, rivolgendomi a tutti, e in primo luogo alla dolce custode, ringraziavo: “Siete stati così solerti e gentili, che non so proprio come disobbligarmi.”
“Non c'è costato nulla” rispose la vecchina, donna Silvia, ma saremo felici, se ci ricorderete.” Mi stavo congedando, quando due giovani, l'uno col calessino, l'altro con il motorino si fermavano presso di noi. Incontrarono lo sguardo di donna Silvia che li interpellò:
“Fausto... Salvuccio... Potreste farci un favore?
“Dite, pure, comare...”
“Vedete, c'è un signore che viene da lontano; potreste dargli una passaggio? Egli cerca la via dei quattro arcieri che oggi sembra soppressa e abbandonata, ma conosciamo la zona... Il Viale dei Giostrai.” La dolce custode ci presentava.
“Va bene,” disse Fausto cordialmente, “vi porterò in quel viale che oggi risulta quale Rione Giostra. Si tenga bene in equilibrio, che l'accompagno con il motorino; Salvuccio verrà dopo col piccolo calesse.”
“Io vi ringrazio” dissi, “siete meravigliosi.”
Giungemmo nel rione, con la velocità del vento. Al pensiero di essere nella mia zona, ebbi un tuffo al cuore... Ma tutto mi sembrò informale... Il terreno era sabbioso... C'eran pochissime case. Scossi la testa, mentre nel mio cuore, e nella mia mente, si alternavano, a volte, sovrapponendosi, due visioni, come di due periodi diversi: l'una offriva alla vista, splendidi porticati, eleganti giardini, bei terrazzi; l'altra offriva casette popolari molto graziose e c'era voci di bimbi e bucati ondeggianti nei cortili. Stavo per dire ai ragazzi: “Possiamo andare,” quando fui attratto da un rottame che stava dritto e immobile, sul terreno sabbioso; mi avvicinavo: era il cappuccio di una vecchia giostra. Ora qualche vago ricordo affiorava alla mente... E inteneriti vidi miei giovani amici.
“Ora ragazzi, è meglio ch'io prosegua e raggiunga la strada abbandonata. Ma voi, andate pure... Non voglio approfittare... Io ho perso il senso del tempo... Forse vi ho contagiati... Ma le vostre madri, potrebbero stare in pensiero.”
“Non si preoccupi” risposero, “sono soltanto le undici e dieci. Noi rimarremo appostati al cimelio. Ella proceda da solo... Sappiamo che è necessario un certo raccoglimento... Ma al suo ritorno ci faccia un fischio.”
“Giovani, andate a casa; prenderò la vettura...
Un ultimo favore, se mai, vi chiedo: avete due soldini... I miei son molto strani perché non so cosa mi sia accaduto vi lascio due ducati, in cambio di due lire.”
“Signore è molto bello poter ancora dire, di posseder due monetine antiche. Quanto a noi, abbiamo solo dieci lire; li potrete scambiare oppure li tenete...”
“Nemmeno per idea... Poiché siete stati così generosi, vi offro cinque ducati in cambio di dieci lire.” La proposta veniva accettata. Ci salutammo ormai familiarmente, con la promessa di incontrarci ancora.
* C o n t i n u a *
Camminavo in lungo e in largo...
Alla prima fermata mi fermavo, attratto da una Chiesetta, alla sommità della quale, appariva l'immagine di un Santa; c'era anche un'iscrizione in latino che così traducevo: “A Santa Caterina, io mi soffermo, promettendo fedeltà nelle lettere e nelle arti.” Ed ero ancora, intento alla lettura, quando dal lato destro, vidi venire una vecchina, il volto mesto e l'abitino nero.
Mi domandò, solerte: ”Signore, state bene?”
Risposi: “Veramente... Non mi reggo... Mi sento sbalestrato e piuttosto confuso...”
“Ma cercate qualcuno?”
"Io cercherei la via Dei 4 Arcieri, ove ci sarebbe ancora la mia casa e voglia il cielo, anche i genitori."
Rispose. “Cu stu siccu, fa male camminari. Ma... Intrate nella Chiesa; io sugnu la custode; forse vi posso aiutari.” Nemmeno il tempo di ringraziarla, che la vidi sparire tra le case.
Entrai nella Chiesetta... Mi, inginocchiai al Signore, alla Vergine Santa...
Poi alla Santa Caterina, con la quale mi accorgevo d'essere in mistico dialogo.
“Mia Santa,” le dicevo, “ti voglio tanto bene, il tuo nome lo sento familiare. Aiutami ad uscir dalle mie pene.
Sento il rimorso verso i genitori... Le ultime parole di mia Madre: «Figghiu, se ne vai, che ti imbarchi lontano... Non sai quello che trovi... Né se al ritorno, mi potrai abbracciare.»”
“Figghiu,” rispose la mia Santa. “Non devi biasimarti; se hai cercato un timone, cui aggrapparti, è perché già sapevi che stavi naufragando. Ora, chiedi perdono alla tua mamma; sei sotto l'influenza di Castore e Polluce, che ti saran propizi. Scrivi un sogno in poesia.”
Non appena uscii dalla Chiesetta, vidi la dolce vecchina, venirmi incontro:
“Dunque, dovete sapere che ho domandato a tutti i parrocchiani... Nessuno seppe dirmi... Ma ci sono due coniugi stranieri che forse sanno quale via cercate.
Venite meco... Che ve li presento.”
Valter e Giuliana, li incontravamo sull'uscio; venivano proprio verso di noi. Ci stringemmo la mano cordialmente e nel contempo, li ringraziavo. Valter prendeva la parola: “Dunque, se la memoria, non ci inganna, noi proprio stamattina, vedemmo quella via, con l'iscrizione ancora visibile 'Via Dei Quattro Arcieri'. Questo è accaduto forse casualmente, sì... Perché la vettura che prendiamo giornalmente, per assistere nostro parente malato, ha fatto un giro inconsueto, presumo per motivi tecnici. Andiamo a noi: la strada è dissestata; vi cresce alto il fogliame... Ci sono molti ruderi.” A prender la parola fu poi Giuliana che rivolta al coniuge, disse: “Pure una casa integra noi l'abbiam vista, non ricordi dove? Vicino a un alberello, supponiamo di pesche.” Poi, rivolta a me: “Ho visto ancora intatte le finestre e un lanternino a quella laterale.”
“Grazie, signori, per quello che mi dite. Le vostre parole, mi sono di grande conforto... Perché se quella finestra, ha ancora un lanternino, è segno che la mamma non è morta; certo mi aspetta, insieme al mio papà.”
Poi, rivolgendomi a tutti, e in primo luogo alla dolce custode, ringraziavo: “Siete stati così solerti e gentili, che non so proprio come disobbligarmi.”
“Non c'è costato nulla” rispose la vecchina, donna Silvia, ma saremo felici, se ci ricorderete.” Mi stavo congedando, quando due giovani, l'uno col calessino, l'altro con il motorino si fermavano presso di noi. Incontrarono lo sguardo di donna Silvia che li interpellò:
“Fausto... Salvuccio... Potreste farci un favore?
“Dite, pure, comare...”
“Vedete, c'è un signore che viene da lontano; potreste dargli una passaggio? Egli cerca la via dei quattro arcieri che oggi sembra soppressa e abbandonata, ma conosciamo la zona... Il Viale dei Giostrai.” La dolce custode ci presentava.
“Va bene,” disse Fausto cordialmente, “vi porterò in quel viale che oggi risulta quale Rione Giostra. Si tenga bene in equilibrio, che l'accompagno con il motorino; Salvuccio verrà dopo col piccolo calesse.”
“Io vi ringrazio” dissi, “siete meravigliosi.”
Giungemmo nel rione, con la velocità del vento. Al pensiero di essere nella mia zona, ebbi un tuffo al cuore... Ma tutto mi sembrò informale... Il terreno era sabbioso... C'eran pochissime case. Scossi la testa, mentre nel mio cuore, e nella mia mente, si alternavano, a volte, sovrapponendosi, due visioni, come di due periodi diversi: l'una offriva alla vista, splendidi porticati, eleganti giardini, bei terrazzi; l'altra offriva casette popolari molto graziose e c'era voci di bimbi e bucati ondeggianti nei cortili. Stavo per dire ai ragazzi: “Possiamo andare,” quando fui attratto da un rottame che stava dritto e immobile, sul terreno sabbioso; mi avvicinavo: era il cappuccio di una vecchia giostra. Ora qualche vago ricordo affiorava alla mente... E inteneriti vidi miei giovani amici.
“Ora ragazzi, è meglio ch'io prosegua e raggiunga la strada abbandonata. Ma voi, andate pure... Non voglio approfittare... Io ho perso il senso del tempo... Forse vi ho contagiati... Ma le vostre madri, potrebbero stare in pensiero.”
“Non si preoccupi” risposero, “sono soltanto le undici e dieci. Noi rimarremo appostati al cimelio. Ella proceda da solo... Sappiamo che è necessario un certo raccoglimento... Ma al suo ritorno ci faccia un fischio.”
“Giovani, andate a casa; prenderò la vettura...
Un ultimo favore, se mai, vi chiedo: avete due soldini... I miei son molto strani perché non so cosa mi sia accaduto vi lascio due ducati, in cambio di due lire.”
“Signore è molto bello poter ancora dire, di posseder due monetine antiche. Quanto a noi, abbiamo solo dieci lire; li potrete scambiare oppure li tenete...”
“Nemmeno per idea... Poiché siete stati così generosi, vi offro cinque ducati in cambio di dieci lire.” La proposta veniva accettata. Ci salutammo ormai familiarmente, con la promessa di incontrarci ancora.
* C o n t i n u a *
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