Ti brucia un occhio, deve esserci finito dentro del mascara. In bagno, lo specchio, rimanda l’immagine del tuo viso stanco. Stanco, ma felice. La cuffia bianca che porti sul capo dà la netta impressione che tu lavori in un laboratorio di componenti elettronici speciali, microchips al silicio. Ti sciacqui il viso e rientri nel laboratorio di pasticceria. Lì, tra pentole e tegami, creme e cioccolato, trascorri le tue giornate.
Oggi poi, devi preparare molti dolci. Sono mesi che ne stai studiando uno, sei quasi a buon punto nel perfezionarlo. Frughi tra i vari ingredienti e accosti gusti diversi come sete preziose. La tua, è una paziente alchimia, e il laboratorio si trasforma d’incanto, in una grotta alchemica dove tu inizi “la grande opera”. Sono loro, gli elementi, che prendono vita e ti trasportano in questa grande kermesse di sapori.
Dopo aver creato l’anima del dolce, confezioni anche la sua immagine. Ami fare ciò. Lo guarnisci e lo imbelletti come se si trattasse di una comparsa teatrale al suo primo debutto. Lo vedi lì, far bella mostra di sé, appoggiato sul tavolo. Riconosci che ha proprio del carattere quel dolce. Ora ammicca ironico tra una Sacher e una meringata.
Sali al piano superiore; i vetri e gli stucchi del bar, ti accolgono con i loro riflessi. Tutto il locale è uno sfavillio di cristalli e luci.
Ti lasci cullare per un istante dal brusio degli avventori, poi osservi attraverso i vetri la città che s’accende. È sera, senti il barman che ti domanda: - Sara, ci sono ancora dei salatini? - Due vassoi -, gli rispondi, di sfuggita, mentre uscendo dal locale ti avvii verso casa.
Cammini in questa città che ti è entrata nella pelle. La stanchezza ti scivola addosso di colpo, come uno scialle che cade a terra alle tue spalle. T’incammini a fianco della piazza, osservi la grande fontana con le sue statue. L’anno scorso, qualche burlone si è divertito a versare del detersivo nella sua vasca, schiumava fin sul selciato, sembrava un allegro dolce. Un dolce, già, tanto per cambiare. Guardi al suo fianco l’austera facciata del teatro, sembra un istituto scolastico. La città pulsa di rumori, tu cammini immersa dentro di lei; ti sembra il grande ventre di una madre.
Sali le scale della tua abitazione. Ami osservare queste balconate che si elevano verso l’alto come un’assurda meccanica spirale. Ah, le case a ringhiera. Osservi curiosa, tra le bacinelle fissate al muro, la fila di panni appesi, che tendono nella loro gravità, come tante frecce rivolte verso il basso, giù, nel buio cortile.
Entri in casa, prepari il caffè, poi t’infili in bagno. Pettini a lungo i tuoi capelli, li ossigeni liberandoli così dagli aromi dei dolci. Cogli per un attimo il riflesso del tuo sguardo, osservi i tuoi occhi scuri, color ossidiana. Forse questa sera andrai a ballare, oppure al cinema. Occorre sentire che cosa hanno programmato gli amici. Dalla cucina, la moka emette soffocati brontolii, l’aroma del caffè si diffonde nella camera. Ne versi una tazzina, mentre pensi che domani dovrai fare due vassoi in più di pasticcini alla crema, perché si dissolvono come neve al sole.
Poi, pensi ad un nome per quel dolce: il tuo dolce. Ironia della sorte, il proprietario del locale, stufo di chiamarlo “il dolce della casa”, vuol dargli il tuo nome, spezzandolo in due metà, dandogli così un senso di proiezione:
Sa-rà, quasi un divenire. Tu ironica, vorresti dare alla tua creazione, un nome maschile, ma ripieghi su qualcosa di più pacato e usuale. Sì, lo chiamerai: La Gioberta, come la tua abitazione, battezzata così perché ubicata in via Gioberti.
Soddisfatta, esci di casa e t’immergi nelle luci della notte.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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