Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Mar, 07/08/2012 - 10:57
Freddo, fuori fa freddo e piove. La serata si apre all’insegna di questi due elementi. Già, perché il trascorrere degli anni è accompagnato dal lento gocciolare dell’acqua sopra le nostre teste. Chiudiamo l’ombrello, entriamo nel ristorante. È una serata diversa dal solito, una cena di amici, un insieme di persone, di visi noti uniti dal ricordo di intensi momenti vissuti in comune. “Ricordi in colonia... tu eri sonnambulo e di notte battevi la testa contro le porte della camerata... ah, la profia di terza C... e Francesca, ricordi, chissà che fine avrà fatto Francesca?” La sera scorre lentamente tra le chiacchiere dei vari gruppi, cioè noi, sparpagliati qua e là tra i tavoli. E tu, che sei seduto a capotavola, cogli l’eco di qualche parola, una risata, un frammento di una frase, uno sguardo. Inizia la notte, e lenta scivola via sui nostri corpi che si muovono al ritmo della musica nella discoteca sottostante al ristorante. Sigarette accese, volute di fumo azzurrognolo che salgono al soffitto, tra bevande colorate e coppie sedute al bar. Ti muovi al frenetico ritmo degli anni, tra la musica del tuo passato (un assurdo revival sonoro delle canzoni che ti hanno fatto sognare, atrocemente mixate) e l’assordante ritmo del presente, dove ti senti totalmente assente ed estraneo. Mentre ti muovi, lei è lì a due passi da te, persa nella sua gestualità, sorride intenta a seguire un suo ritmo interiore. Cogli un sorriso e il riflesso dei suoi capelli castani. Ma ecco che tra la fine di un brano, e l’inizio del successivo, riesci a raggiungere il bar. Ti ritrovi con un bicchiere tra le mani, batti il ritmo facendo tintinnare il ghiaccio contro la parete del bicchiere, eco lontano di quegli anni passati, immersi nella musica dei Beatles e dei Rolling Stones. Il sapore della notte si consuma nel ricordo. Già il ricordo, a volte confuso tra i sogni di quegli anni verdi, dove la vita ti sembrava un’avventura lì pronta per essere vissuta. Si balla, in quell’eterno girotondo che è la vita. Sono le due, siamo rimasti in pochi; un piccolo gruppo lontano dalla pista discute pacatamente. Una voce dice: “Ragazzi qui chiudono; andiamo a bere qualcosa?” Ci muoviamo correndo, evitando le pozzanghere, cercando di raggiungere le auto ferme nel parcheggio spazzato dalla pioggia. Mentre la notte, inesorabile, continua a scorrere. Ci ritroviamo in una birreria, seduti ad un tavolo con la superficie densa di graffiti. Una di queste scritte ti colpisce, leggi: “Ti amerò un mattino di primavera”, sotto la scritta, un’altra, tracciata da una grafia femminile racchiude tra due parentesi la seguente frase: “Facciamo nel primo pomeriggio che è meglio; Paola.” Senti che lei, la rossa seduta al tuo fianco, dice: “Mi piace, durante queste cene, trascorrere la serata in compagnia degli uomini, sono meno competitivi delle donne”. La guardi, ti sembra un po’ aggressiva, sicura di se stessa, poi guardi di fronte a te l’altra donna, quella dai capelli biondi che sta parlando con il suo vicino. Rivolgendoti alla tua compagna di tavolo dici: “Sembra che quella donna faccia le cose, con una carica e una intensità, come se ogni gesto fosse l’ultimo istante della sua vita”. “È vero, l’ho notato anch’io.” Risponde lei. Tu la osservi, pensi: Che diversità di carattere, poi esclami: “Certo che nella vita il carattere è tutto!” “Vero!”, dice lei, “ma non basta”. Ed è in quel momento che dal suo tono di voce cogli un istante di fragilità, un’incrinatura nella sua maschera. “Ci sono dei momenti che tutto mi rotola addosso e non riesco a reagire; sai mi sono separata l’anno scorso”. Una nota di sofferenza accompagna le sue parole. Poi continua: “Ho fatto tre anni di analisi terapeutica, mi è servita molto, ma ogni tanto non ce la faccio e crollo”. Tu pensi: a quanto pare, in questi anni, ci siamo passati tutti sui divani degli analisti. Ora lei ti sembra meno forte di sé; stemperi il discorso con una battuta, inizi a sorridere, lei ti segue ridendo a sua volta decisamente più rilassata. Pensi: Nella vita recitiamo tutti dei ruoli, mentre in realtà vorremmo camminare con i passi leggeri della nostra infanzia. Una risata echeggia attorno a noi, ora si è passati a raccontare barzellette, sicuro anestetico contro la tristezza. L’euforia diventa contagiosa, si ride un istante prima della battuta, si ride perché si vede affiorare la risata su un viso, si ride perché si è un po’ più buffi e un po' bambini. Si ride perché il riso è il veicolo per evadere dalla prigionia della ragione. Sono le quattro; giovane è la notte; il tempo è stato annullato nella sua dimensione e, almeno per ora, riposto in un luogo lontano. Si continua a ridere con quel fare contagioso che ti fa piegare in due e liberare la mente. Centelliniamo tra le risate alcuni attimi dilatati del tempo; siamo al qui ed ora. La pioggia, inesorabile, continua a scrosciare sulla notte che fugge, stemperata dal nostro buon umore. Ora sono le sei, ci alziamo lentamente dal tavolo, fuori sotto la pioggia, continuiamo a parlare per non voler perdere attimi di quest’atmosfera d’incanto. Ma la via del ritorno bruscamente ci richiama ai nostri impegni. Ci lanciamo un reciproco saluto fuggendo verso le proprie vetture. Le strade sono specchi orizzontali densi di luci e di riflessi colorati. Entri in casa, fuori la città dorme. Ti siedi sul divano. La stanza nell’oscurità è accogliente e misteriosa. Fai scattare l’interruttore, un fascio di luce ti avvolge; apri un libro, sfogli distrattamente alcune pagine, leggi: Odette aveva in mano un mazzo di catteleya e Swann vide, sotto il fazzoletto di trina che le copriva... Sbadigli, non ami le orchidee viola; poi non riesci terminare la frase perché di colpo crolli in un sonno profondo. 26/marzo/1999- 6/agosto/2012
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