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L'istantanea

 

 

Ho visto la tua immagine schiacciata su una parete bianca. Sentivo il rumore del proiettore che rimbalzava amplificato sui muri della camera. Era un sogno, uno dei tanti che si espandeva nella mia mente. Poi un vento improvviso ha spazzato via tutto e mi sono svegliato. Allora, mi è tornato in mente l'incontro con quell'uomo.

Era l'imbrunire, passeggiavo per via Po verso piazza Vittorio: Torino, a quell'ora, era un gran via vai di gente. Le vetrine riflettevano calde luci sul selciato. La via era animata da persone che si affrettavano verso itinerari sconosciuti. Ero uscito dal bar cercando la toilette nel cortile.

Uno stretto corridoio si apriva su un loggiato che circondava un cortiletto pavimentato in pietre di fiume. Una fontana, ormai muta, faceva da quinta al suo meccanismo arrugginito. Nella penombra, sul lato destro del cortile, una persona era ferma davanti ad una coppia di anziani signori. Li stava invitando, con un cenno di mano, ad entrare oltre una porta che lasciava intravedere una scalinata luminosa.

Maledizione, pure la coda! avevo pensato, raggiungendo quella scala.

L'uomo dinnanzi alla porta mi invitò con un cenno ad entrare.

Avranno ristrutturato le toilette, pensavo, data la vicinanza al teatro, in questo bar, di sera, ci sarà un casino di gente!

Mentre scendevo le scale sentivo un rumore di voci che proveniva dal basso. Una ragazza, elegantissima, mi fece cenno di accomodarmi in un salone che si apriva al fondo del corridoio. Sotto un soffitto a volta, in mattoni crudi, che aveva subito una buona ristrutturazione, una teoria di sedie in velluto rosso formava numerose file parallele davanti ad un palco. Sul palco, un lungo tavolo ospitava tre oratori. C’erano molte persone sedute in quella sala. Distinguevo a fatica i loro profili.

Ho sbagliato toilette! avevo pensato con un senso di vivo disagio.

Si erano spente le luci e l'oratore aveva iniziato a parlare. Seduto verso il lato esterno della fila, mi ero riproposto di guadagnare l'uscita alla prima occasione.

Il “Mysterium Absconditum”, aveva iniziato, con voce grave, a esporre l'oratore o meglio, la così detta “Disciplina dell'arcano”, legata sin dai primi secoli ai cristiani, contribuì, generando una simbologia propria, a celarne i contenuti per il timore di un grave maleficio, se si fosse osato svelare il significato anche di un solo simbolo o meglio “segno” alfabetico o geometrico. Ciò determinò, nei secoli, grazie a un costante occultamento, la perdita del significato primitivo. Ed è per questo che oggi noi interpretiamo il nome del “Salvatore” dal segno IH, oppure dalla sua inversione HI per renderlo indecifrabile. Nelle iscrizioni che vediamo scolpite sopra l'architrave di antiche abitazioni, il “segno” IHS formato da iniziali alfabetiche minuscole, Iesus Homini Salvator, parrebbe...

Ero piombato nel mezzo di una conferenza sulla simbologia arcana dei primi albori del cristianesimo. Stavo per alzarmi, quando il mio vicino di poltrona, un uomo dal viso scarno, capelli bianchi, lunghi, occhiali rotondi, avvolto in un impermeabile stropicciato oltre misura, sporgendosi verso di me mi aveva sussurrato:

- Interessante, ma non so se parlerà della simbologia legata alla “bilocazione sincronica”.

Qui sono tutti matti, avevo pensato, poi gli avevo chiesto:

- Ma... a proposito della bilocazione, lei sa dove diavolo sono le toilette ?

Mi aveva indicato, con un dito scarno e ossuto, una porta semiaperta che dava su una scala.

- Sopra.

In un quadrato di corridoio, avvolto nella penombra, una grande scala portava ai piani superiori. I bagni erano immersi nel silenzio più assoluto. Da una finestrella si intravedeva il cortile in acciottolato e un portone che dava su una via. In alto, oltre a una teoria di ballatoi, faceva capolino uno spicchio di cielo. L’arredo era tipico degli anni settanta: mobili laminati con inserti in cromo. Finalmente, liberato il corpo, ero ridisceso da quella scala, e dopo aver percorso un labirinto di porte, avevo raggiunto il cortile e guadagnato la strada. Camminavo alla volta del parcheggio, respirando a pieni polmoni.

Che incubo ragazzi!

 

Avevo ripensato, nei giorni successivi, a questo singolare episodio; mi pareva di essere piombato in un inquietante set di un film su sette o confraternite segrete. Logge massoniche o società segrete non mi avevano mai incuriosito, ma, ma... mi tornavano alla mente le parole di un'amica.

Guarda, nulla capita per caso, c'è un sottile filo che lega persone e situazioni. Noi non riusciamo a coglierne il disegno, è una cosa sottile, ma c'è...”

Ben mi stava. Da ragazzo, mia madre mi raccomandava sempre di non frequentare cattive compagnie, non le davo mai retta e uscivo di casa sbattendo la porta.

Per uno che era cresciuto a pane e Beatles la vita sembrava un parco giochi, e man mano che gli anni passavano, “il mio terreno” assumeva sempre più un'inclinazione pronunciata, tendente vistosamente al basso.

 

E proprio la precarietà di questi anni (che sarebbero dovuti essere di raccolta delle messi seminate lungo tutta una vita) mi stava creando grossi problemi economici. Ero nuovamente andato in Torino, in un negozio di un libraio antiquario per cercare di vendere alcuni libri antichi.

Il libraio, calatosi seriamente nel ruolo di antiquario, dopo un paio di colpi di tosse, mi aveva detto che sì i libri erano antichi, ma mal conservati e, comunque, con somma discrezione mi aveva fatto intendere che avrebbe potuto rilevarli per una cifra, a suo avviso, effimera. Proprio per farmi un favore, beninteso.

Tanto valeva che glieli regalassi!

Ero ritornato in strada, avviandomi sotto i portici, quando una voce mi aveva colto di sorpresa.

- Potrebbe farli restaurare e proporli alla libreria antiquaria di ... sono sicuro che glieli acquisterebbero ad un prezzo onesto.

Mi ero voltato e l'uomo, il vicino di poltrona della conferenza esoterica, era lì dietro di me.

- Mi scusi, sa. Ero presente in libreria e, mio malgrado, ho ascoltato tutto. Mi permetta, lei faccia come crede, ma io ci proverei davvero in quella libreria.

Ero frastornato e confuso. Guardavo quell'individuo, dagli abiti dimessi, ma con una luce interiore che si espandeva da lui avvolgendolo in un'aura luminosissima.

 

- Lei è torinese? mi aveva chiesto.

- No. Sono nato in questa città ma abito altrove.

- Dovrebbe venire più spesso a seguire le conferenze dei “Fratelli”.

Aveva detto Fratelli, proprio così. Poi aveva aggiunto:

- La “bilocazione sincronica”. Questa sì che è importante nella vita.

Mentre lo ascoltavo, vedevo nella mia mente l'immagine di me bambino, moccio al naso e calzoncini corti, e mia madre appoggiata al ballatoio di casa che mi faceva segno di no con il dito.

- La che? gli avevo domandato, pensando: Ma questo che cosa fuma?

- Lei immagini una persona, uhm... vediamo un po'... la faccio breve. Pensi a un amico, oppure a una persona che per lei riveste un grande legame affettivo. Ebbene, se, nel preciso istante in cui ha un profondo bisogno di quella persona, la pensa intensamente, questa in qualche modo si manifesta.

- Si manifesta come?

Avevo risposto di getto, pensando all'elenco telefonico delle mie amiche. Di comune accordo, avevo fatto un gioco con una di queste. Cercavo di indovinare, dalla sua espressione, il colore della biancheria intima indossata da lei quel giorno. Non ci azzeccavo mai.

- Quella persona o si mette in contatto con lei, magari la incontra il giorno stesso, oppure le telefona - aveva detto, con una sofisticata inflessione dialettale, in un torinese che parlavano dei miei lontani parenti, borghesi, che abitavano in centro città.

- Oppure, in qualche modo, le lancia un segnale, lascia una traccia, un segno. - aveva aggiunto.

Poi, dopo aver pronunciato ancora alcune parole, mi aveva curiosamente salutato, e nello stringermi la mano, aveva picchiettato l'indice sul polso della mia, del tutto simile al saluto massonico.

Sconcertato, avevo visto quell'uomo e il suo impermeabile scomparire tra la folla.

A casa, non riuscivo a prendere sonno. Pensavo, osservavo i riflessi delle luci della strada proiettati sul soffitto. Uno sciame di pensieri mi ronzava in testa, poi, lentamente, ero scivolato nell'oblio.

 

E il sogno era partito.

Camminavo per la città e man mano che avanzavo, la gente davanti a me si spostava, scantonava verso le vie laterali. Alcuni porte si chiudevano al mio passaggio. La strada era diventata deserta. Sembrava la sequenza di un film western. Poi una figura avanzava, leggera, verso di me. Vedevo un basco scuro, due occhiali rotondi e un viso che sorrideva. L'impermeabile. Era lui!

Si avvicinava sorridendo e, superandomi, diceva “fratello”, ma non riuscivo a sentire il suono della sua voce. Avevo letto le parole sulle sue labbra. Mi ero voltato, ma la via era vuota, l'uomo era scomparso. Eppure, avvertivo dietro di me, la fastidiosa presenza di qualcuno o qualcosa.

Mi ero svegliato tutto sudato. Ultimamente più che sognare, sgranavo in continuazione incubi.

Erano trascorsi alcuni mesi da quell'episodio ed io, preso dalle mille occupazioni, l'avevo completamente scordato.

 

Una domenica pomeriggio eravamo andati a vedere, io e mia moglie, una mostra di pittura in un castello nella prima cintura di Torino. La campagna assolata e le colline sembravano loro stesse un dipinto. Lella, con la Minox in mano, stava cercando di fotografare il paesaggio. Io, leggermente rilassato, spingevo ad un ritmo regolare il motore della vettura.

Ed era successo all'improvviso.

Un acuto e intenso dolore all'orecchio sinistro mi aveva fatto lacrimare. Sembrava che mi avessero piantato un paletto incandescente nel timpano. Avevo accostato l'auto ad una piazzola d'emergenza e mi ero massaggiato a lungo l'orecchio, lamentandomi.

- Qui ci vorrebbe Sergio! - avevo esclamato, pensando intensamente al nostro cugino medico, specializzato in otorino-laringoiatria. Per un istante, avevo addirittura scorto il suo viso in un riflesso del vetro. Poi la suggestione era scomparsa.

- Figurati, cosa pensi che potrebbe fare ora? - aveva risposto Lella, cercando un antidolorifico tra le tremila pillole e gli oggetti della sua capiente borsa da Mary Poppins.

Un lampo bianco mi era esploso in viso.

- Che accidenti succede ?

- E' partito il flash - aveva risposto Lella, mentre io mi ero rimesso in viaggio.

Avevo ingurgitato, a gola asciutta, una pastiglia e, con il passare dei minuti, il dolore si era leggermente attenuato.

- Cerchiamo un pronto soccorso, potrebbe trattarsi di una perforazione del timpano - avevo esclamato, in preda ad una profonda apprensione.

- Esagerato! sarà certamente un colpo d'aria. - aveva risposto Lella – Comunque, andiamoci.

 

Al Pronto Soccorso, dopo un'attesa infernale, un medico mi aveva dato uno sguardo all'orecchio, prescritto degli antibiotici e spedito via. Fortunatamente nulla di fatto, ma la domenica era irreparabilmente andata.

 

Erano trascorse alcune settimane da quell'episodio e il dolore era scomparso completamente. Un pomeriggio avevo trovato in un cassetto la macchina fotografica di Lella. Il rotolo era ancora da sviluppare. Mi ero premurato di portarlo al fotografo e la sera stessa ero passato a ritirare le foto.

 

- Guarda che c'è un'immagine che ha dei problemi, -

mi aveva detto Luciano, l'amico fotografo; poi aveva aggiunto:

- sembra che il flash abbia generato, oltre al riflesso di luce, un'immagine fantasma. A volte succede, si vedono moltiplicati i riflessi del diaframma.

Giunto a casa, avevo inserito il negativo nello scanner ed estratto l'immagine salvandola in formato elettronico, quindi l'avevo notevolmente ingrandita.

 

Su una distesa verde, dove in distanza s'intravedeva un cascinale, in un cielo di un blu bruciato, circondato da un'aureola bianca, il viso di Sergio, il cugino medico, sorrideva,

curiosamente sorrideva…

 

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