Scritto da © Franca Figliolini - Sab, 14/04/2012 - 07:21
«Non è niente, non è
niente», mi dicevi mentre versavo fiumi di lacrime
sul fiume di birra con cui festeggiammo il mio
diciottesimo compleanno
io, te e il tuo chaperon, che c'era sempre,
non fosse mai che volessi provarci.
Roma era così bella e immensa per le nostre
solitudini, la nostra città mille volte distrutta e mille volte
rinata che cadeva sotto i colpi dei palazzinari
e la percorrevamo in lungo e largo a misura
delle nostre tasche vuote
ogni angolo aveva la sua bellezza e la sua fragilità
che mi svelavi a parole ampie come gesti
Chinavi la testa a volte, sopraffatto,
e i capelli ti ricadevano sul viso. Io trattenevo
la mano, sempre, che voleva scansarli,
sempre.
C'era in te quella luce infinita che cercavo,
l'ardore dello sguardo e la precisione del gesto,
tutto era in te come in uno scrigno.
Com'eravamo belli, H. mio. Com'eravamo
disperati e felici.
Fuori infuriava la rivoluzione che non c'è mai stata
ed anche noi non fummo mai, se non quello
che siamo stati.
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