Mi aveva telefonato nel primo pomeriggio per fissarmi un appuntamento. Guardai l’agenda, scorrendo le varie note, mi accorsi che mi rimanevano un paio d’ore libere il martedì verso le diciassette. Accettò di buon grado.
Quel martedì, quando lo vidi entrare nello studio, ebbi la netta impressione che, sotto l’apparente calma e la pacatezza dei modi, ribollisse dentro di lui un vulcano in procinto di esplodere.
- Bene dottore, si accomodi. - Gli dissi, invitandolo a sedersi sulla poltroncina rossa, di fronte alla mia scrivania.
- L’ascolto – e, con un cenno della mano, lo invitai a parlare.
Iniziò a descrivermi i tratti salienti della sua vita e della sua professione di medico chirurgo, intercalando nell’esposizione brevi pause, rimarcando alcuni aspetti del suo carattere.
- Mi dica … ehm… in che cosa consiste il suo problema (omisi opportunamente il termine dottore, per non creare al riguardo una confusione di ruoli, in quanto per una strana ironia della vita, questa volta, il paziente era lui e io l’analista).
- Vede dottore… - disse, mostrando per la prima volta un certo imbarazzo, - è da un paio di mesi che mi capitano delle strane cose… mi creda, sono abbastanza scettico nei confronti dell’analisi, pur essendo io stesso medico… però, mosso dalla disperazione perché …stanno avvenendo in me strani cambiamenti; vorrei tentare quest’ultima possibilità.
Tacqui, osservandolo con un incoraggiante sorriso, lasciando che facesse affiorare gli aspetti del suo problema.
Riprese a parlare lentamente, mostrando sul viso un’espressione desolata.
- A volte mi capita di visitare delle pazienti, perlopiù giovani, e… palpando il loro collo, provo la strana sensazione di toccare del legno… sì, proprio del legno, con tutti i suoi nodi e le sue venature… e lo strano, dottore, è, che a secondo del colore dei capelli della paziente: bionda, bruna o rossa, mi sembra che il tipo di legno cambi. A volte si tratta di frassino, altre volte larice rosso, oppure mogano. Una sera a teatro mi è successo di sorprendermi nel dire a mia moglie:
- Cara, guarda là, quella donna; quella con i capelli rosso …doussiè!
- Tutto questo le succede in un contesto ben preciso? - Gli domandai corrugando la fronte.
- Non saprei… - mi rispose lui, poi aggiunse, - A volte, seduto alla scrivania del mio studio, mi sembra di avvertire nell’aria l’odore della legna appena tagliata. Ha presente l’odore delle segherie o dei laboratori di falegnameria? Bene, la stessa cosa.
- C’è qualche fatto particolare, legato al legno, che ha influito nella sua infanzia? Da piccolo, è per caso caduto sul parquet? - Gli dissi queste cose con uno tono suadente di voce, invitandolo a ricercare nella sua infanzia degli episodi significativi legati a questa patologia.
Devo dire che il nostro lavoro richiede, oltre che molta calma, la capacità di saper cogliere, tra i pochi dati, a volte confusi, presentati dal paziente, quello significativo; riportarlo alla luce facendolo affiorare dal suo inconscio.
Ci pensò su a lungo poi disse:
- Mah, da bambino non riuscivo masticare il bastoncino di legno dei ghiaccioli, perché ciò mi provocava un acuto brivido ai denti; inoltre, provavo la stessa sensazione anche guardando gli altri masticare quel piccolo pezzo di legno. A parte questo, non ricordo altro.
- Qualche episodio della sua vita adulta? - Infilai fra di noi questa domanda, con un tono come se fosse caduta lì per caso.
- Beh, c’è l’episodio del parquet, ma l’ho talmente rimosso, che non ci penso più.
- Ah, ah, …si rimuovono le automobili in divieto di sosta, ma non gli episodi della vita… - Gli dissi, tentennando il capo e assumendo sul viso un’espressione perplessa, poi, senza lasciargli il tempo per reagire, gli dissi:
- Mi parli di questo episodio. Lui mi guardò stupito, poi disse:
- È un banale episodio che riguarda l’esecuzione di un parquet che è stato mal posato. Dopo poco tempo, le assicelle si sono arricciate come foglie secche. Subito avevo provato un senso di rabbia misto a frustrazione, perché la vicenda si era protratta per molti mesi, poi quella sensazione era scomparsa. Ma le ripeto dottore, è una cosa che ho ormai dimenticato da tempo.
Tossii, o meglio emisi un pacato colpo di tosse, dicendo:
- …Dimenticato?
Lui sgranò gli occhi, guardandomi come se fossi un … (noi non amiamo usare termini come: pazzo, folle, malato di mente, ecc.), poi disse:
- No, non mi dirà che per via di questo banale episodio… no, non ci credo dottore, …suvvia, siamo seri.
Guardai l’orologio inserito nella libreria alle sue spalle, la nostra ora era trascorsa già da un pezzo, gli dissi:
- Guardi, le suggerisco di pensarci attentamente durante questa settimana; martedì prossimo analizzeremo insieme i risvolti di questa vicenda. Mi alzai salutandolo, poi annotai, a suo nome, alcune osservazioni sul computer.
Non lo rividi né il martedì successivo, né mai. Un anno dopo, durante un periodo di vacanza trascorso in Australia in compagnia di una collega ad osservare il passaggio delle balene, ebbi casualmente sue notizie.
Un tassista, accennò che il dott. … aveva lasciato lo studio e la professione, ed ora faceva l’importatore esclusivo per l’Australia di legname di una rara pianta: la Ginkgo biloba. Lui stesso, il tassista, mesi or sono lo aveva accompagnato all’aereoporto.
Ricordava un particolare di quella sera che gli era rimasto impresso nella mente. All’aeroporto, il dottore aveva salutato la sua segretaria, dicendo: Arrivederci miss Cabreuva.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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