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Della poesia

 Fluttua, o mare, e porta antichi suoni
di gesta greche e di predoni il pianto.
 
E tu, poesia, perdonami il rimpianto
d’estetica bellezza e del cantino
che trilla melodia per tutto il canto.
 
Comprendi il disappunto che disprezza
vuota supponenza ed ignoranza
di chi recita “in vinum” con ebbrezza
ma l’ablativo è “vino”. Orsù, pazienza!
 
Aspergi, musa, il nitido sapore
sopra le mie labbra inaridite,
dammi la forza di cambiare umore
alle rime già spente e rinsecchite.
 
Ma non indurmi all’uso di parole
come si fa con numeri alla pesca,
c’è il colore, c’è il suono e c’è il rumore,
c’è il senso, la metafora, e la fresca
immagine che sorge dal pensiero
aldilà delle norme di scrittura.
 
Digerire ignoranza è troppo dura,
credere ad alibi senza consistenza,
esiste la poesia, ma c’è insipienza
in chi crede al suo tocco di magia.
 
Dammi aiuto, musa, col ripasso
di chi ci ha illuminato con poesia.
Erato, Euterpe, Clio, ecco la mia
bagnata d’umiltà, senza fracasso.
 
Al confine mi fermo e segno il passo
e mi spando al sereno della sera.
Sarà per l’altra volta che si spera
migliore di quest’oggi che è al trapasso.

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