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blog di raffaela ruju

I nostri morti cantano

Non ho portato fiori sulla vostra tomba
troppa la distanza
tra il fiore e il cero consacrato

E se il pensiero vaga
sconfina infinito dall’universo
e viaggia dentro il sogno

o forse è la memoria che ci lega
ai ricordi segnati dall’insegnamento
alla tavola di legno e al cerchio

Orfane da troppo tempo
cambiamo le lenzuola
e le tovaglie apparecchiamo nude

e mi risuona nelle vene il canto
vivendo in terra altrui
straniera al cimitero dei trapassi.

Sei stata, sarai ( Per Alda Merini )

E te ne vai
nel luogo delle ombre
dove la luce spezza il raggio

Non troverai barriera al passo

feroce il tempo
selvaggio il vortice dei pensieri
di una realtà che scappa

Non troverai il silenzio della notte

per questo sogno quasi inventato
per quello che hai lasciato
strappandoci ancora al pianto

Sarai nel divenire poetico

in quel limite astratto
dove non esiste un margine
al soffio che ha spezzato il respiro.

Sarai

I mangiatori di patate

Vincent van Gogh - I mangiatori di patate -  1885

 

Troppa terra.
Alla sera si torna
con le mani indurite dal gelo
per sfamare di essenziale il silenzio.

l’aria immobile fiocca
con la luce che cade dall’alto
come un raggio sconfitto sui volti
che scurisce l’infanzia inquieta

e non c’è ribellione
nelle mani giganti, negli sguardi raccolti
nelle facce deformi
che raccontano la fatica del giorno

Come l’ultima cena
il banchetto servito con rito solenne.
Taciturne patate scolorano l’ombra
di un inverno mai morto.

nella casa di fango
si raccontano cose
con le labbra accostate,
troppo grosse per esser baciate

I mangiatori di patate
forse sorridono ai sogni
e si attardano intorno alla tavola
nel rumore del buio colorato di terra.

e poi

e come si fanno scivolare, quelle illusioni che separano la realtà dal mistero quando ad occhi bassi guardiamo la terra con la vergogna nel cuore di essere troppo piccoli per rivelarci al cielo. quella speranza cieca ha una luce selvaggia, e mi domando, quanta sia la luce che abita in queste orbite nere quando brucia sulle pupille dell'indiferenza.

qualche volta l'aria. il soffio sui polmoni. e non c'è via di scampo. neppure un cuore artificiale. solo il don delle campane. una messa di spighe. un vento sui paveri. e poi, l'agonia dei versi in cui sostare.

 

Notturno

si compone e si scompone
la luce dell'universo

un rosso chiaro di luna
buca la tela

di un cielo di carta di riso
prima dell'alba

e la luna getta uno sguardo
discreta.
 

 

Io sono l'amore rinnegato

 
Io sono lo scirocco caldo
che invade la tua pelle-poro
dilatando a dismisura ogni piacere

sudore – brivido- tentazione

ho una rosa di sale tra le gambe
e l’umido tepore della notte
una risata tra i capelli e l’opale nel cuore

sudore – brivido – calore

ho un veleno intrigante e maturo
un tocco che sa penetrare la rugiada
una poesia ammaliante che trapassa

sudore – brivido – eccitazione

La mia ragione intinge sensazioni
rimescola nel ventre la pioggia con la neve
e si fa brina ogni spalla che offre

sudore – brivido – tremore

Sono il peccato primordiale
l’invito del serpente tentatore
la vocazione della spiga e del papavero

alito-sussurro-carezza

Io sono femmina e pure maschio
la bramosia dell’ambrosia
il labbro che incatena il labbro

sospiro-musica-fruscio

Sono l’umido che lubrifica i silenzi
il brivido che non conosce povertà
sono la tentazione della penombra

palpito-gemito-graffio

Sono l’eccitazione della trasgressione
il tremore di un attimo senza dolore
il sogno che si bacia in bocca

passione - erotismo -  ardore

Io sono lo scirocco dolce
la fede a cui si crede privatamente
quando la notte colora le lenzuola.

 

piccoli cose di poco conto

Riemersi nelle tenebre

 

e fu notte di corvi sui covoni
gracchianti sulla cima del cielo
a due passi dalle porte

e le vidi aprirsi quella notte

dopo aver apparecchiato
con pane affettato
mandorle e noci per i morti

e li vidi passeggiare a due a due

dopo aver tolto i coltelli
e ogni oggetto tagliente dalla casa
prima che la luna scomparisse

in processione vestiti a festa

emersero da un buco sul soffitto
per andare a rivivere  sui tetti
prima che la notte si sfuocasse

poi vennero inghiottiti dalle ombre

quando l’occhio guardò l’immagine
si scolorì la vena dello sguardo
che gettai sul pane morsicato.
 

Musica di mare sugli smalti della sera

Respiri in si bemolle alla deriva
su un mare che riposa muto.
A sera la betulla all’imbrunire
ricama note tra le foglie argentee.
 
Il vento traccia i segni in superficie
e alla radice sposta l’onda e il sale.
 
Quando il tramonto smalta il mare
un suono impercettibile si muove
tra musica d’insieme e incanto.
 
Un falena danza la sorte del destino
incurante della vita e della morte

Migrazione

 

due ali per volare via
dal luogo dei ricordi
dove scialbo appare
il futuro del mio popolo

e io

senza terra raminga m'involo
con candele spente
per non bruciare queste ali
lontana da questo luogo

che più non riconosco

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