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Una lezione affollata

Con un pò di ritardo vi racconto una lezione unitre di Rivoli, al Laboratorio di scrittura, vista da Maria Luisa Agnisetta Prodon :                                                          
 
19 marzo, Venerdì, S.Giuseppe, Festa del Papà.
 
Giornata serena, freddo pungente; si è ancora in pieno inverno. Il solstizio di Primavera, che avverrà tra due giorni, sembra molto lontano.
Nella piccola aula in cui si radunano i partecipanti del Laboratorio di scrittura nessuno ha avuto il coraggio di togliere i giacconi imbottiti e le grosse sciarpe annodate intorno al collo. Qualche signora mantiene anche il suo caldo copricapo. Dalla finestra si intravedono i mucchi di neve caduta recentemente ammassati ai lati della strada; i marciapiedi celano delle insidiose lastre di ghiaccio che terrorizzano i pedoni, specialmente gli anziani. Ho sentito dire in qualche negozio che il Pronto Soccorso dell’Ospedale non sa più dove ospitare le vittime di innumerevoli rovinose cadute, causate dal ghiaccio che non si scioglie e che non sempre si riesce a notare. La mamma di un mio ex-allievo mi raccomanda, scusandosi, di stare in casa e di non avventurarmi per le strade gelate. Mi chiede se non mi sono offesa; capisce che implicitamente mi ha, con ragione, aggregata al folto esercito dei vecchi che procedono incerti per le strade di questo spietato, lungo, crudele inverno.
La rassicuro, perché so benissimo che la sua premura è dettata dall’affetto, e so anche benissimo che sono vecchia. Sono stata per un attimo incerta se scrivere addirittura molto vecchia. Ho 84 anni, quando ero giovane io, chi raggiungeva questa “venerabile” età era considerato quasi un dinosauro sopravvissuto all’era glaciale; se partecipo a qualsiasi riunione sono sempre la più vecchia; l’anno scorso ho seguito un corso di computer e la giornalista di Luna Nuova che venne ad intervistarci mi indicò sul suo giornale con l’appellativo di “nonna cibernetica,”sembrava strano che alla mia età mi cimentassi in una simile impresa.
Ma ho deciso di non scrivere molto vecchia, perché non mi sento tale, anche se l’involucro, la carrozzeria e il funzionamento nel complesso lasciano piuttosto a desiderare. Desidero precisare che all’omissione di quel molto ha contribuito parecchio e continua a contribuire il nostro corso di scrittura, il ritrovarsi tra amici, il conoscere persone nuove, tutte gentili, che mi fanno sentire quasi della loro età, accettata e considerata quasi come una loro coetanea. Il cielo li benedica tutti.
 
Ma torniamo alla lezione del 19 marzo. Avevo deciso di parteciparvi nonostante la difficoltà oggettiva causata dall’inclemenza del clima. Quando entrai nell’aula fui salutata da esclamazioni e saluti gioiosi che non mi aspettavo, sembravano contenti di vedermi, Renato mi venne persino incontro e mi stampò un bacione sulla guancia, e tutti mi fecero festa. Forse avevano pensato che non osassi sfidare il freddo, la paura delle malattie, le strade sdrucciolevoli. E’ normale che lo credessero, per una vecchietta come me. Ma io temevo di più il pensiero di non stare in mezzo a loro,che mi danno tanto,e che, penso, mi abbiano adottata come una nonna che può ancora offrire qualcosa delle sue antiche capacità.
 
La lezione – se così si può chiamare il pacato, piacevole procedere dei nostri discorsi – iniziò con la lettura dei lavori degli studenti. Non eravamo in molti, quel giorno. Rinaldo come sempre prestò la sua voce a chi non si sentiva di leggere personalmente  il proprio lavoro, ( anch’io tra questi). Qualcuno invece preferì leggere da sè. Ascoltavo attentamente, contenta di constatare l’armonia dello stile, la scelta dei vocaboli, la vivacità delle idee, e nello stesso tempo la naturalezza e la semplicità dell’esposizione.
 Forse queste frasi saranno lette in classe, e desidero quindi far notare ai miei amici che con questi apprezzamenti non voglio atteggiarmi a giudice delle loro capacità, ma che li invito a considerare il fatto che ho insegnato per circa 50 anni e che quindi, per deformazione professionale, non posso fare a meno di valutare quello a cui presto attenzione. Una valutazione in questo caso eccellente.
 
Sembrava che i miei amici si fossero messi d’accordo.
 Era la Festa del Papà
 Molti parlarono del loro padre. Sempre con affetto, con tristezza, con commozione. Li guardavo, commossa anch’io, li ascoltavo, partecipando alle loro emozioni.
Alcuni, benché con i capelli grigi, si rappresentavano come piccoli bimbi sulle ginocchia di un padre grande, forte, come loro lo sentivano, che li abbracciava e li proteggeva. Altri lo ricordavano quando, giovanetti, li guidava con autorità e con una severità che ora benedivano. Poco a poco, nella mia immaginazione, la piccola aula del nostro Laboratorio si riempì dei tanti Papà ricordati, molti già scomparsi, altri ancora viventi, e tutti stavano alle spalle dei loro figli e delle loro figlie e tenevano le mani sulle loro spalle, li proteggevano, li consigliavano, li aiutavano con i mezzi che avevano a disposizione, materiali e non, ed erano contenti di essere ricordati con tanto affetto, di essere presentati agli amici del Laboratorio con tanta tenerezza e tanto rimpianto, e questi loro figli forse parlavano delle loro intime emozioni per la prima volta nella loro vita.
E così io vedevo la piccola aula piena di persone amate, che non scompariranno mai dai nostri cuori e che sempre sapranno consigliarci e guidarci nella nostra vita come hanno sempre fatto con le loro parole e con il loro esempio.
 
Dimmi, cara Maria – la nostra docente – li hai visti anche tu, come li ho visti io? Credo di si, perché anche tu eri commossa ed avevi gli occhi lucenti di lacrime trattenute
 
                                                                                              Maria Luisa Agnisetta Prodon
 
 

Una storia

Ogni tanto mi viene voglia di raccontarvi semplici ricordi e vi racconto storie scritte da me in vecchi quaderni o vecchi foglietti accumulati nella vita:
Ho sempre avuto la mania di scrivere storie e lo facevo già a sei sette anni, però mi vergognavo di dirlo e firmavo  con uno pseudonimo: Miriam Mira.
 Una delle prime storie che volevo scrivere mi era stata ispirata in una estate del primo dopoguerra. Ero in ferie al mare, invitata dalla mia madrina di cresima che era poi la mia insegnante di latino e quella che mi aveva preparata per gli esami di ammissione alle medie.
   Eravamo a Vasto marina e oltre che andare in spiaggia, spesso nel pomeriggio ci si recava da una sua amica, che viveva sola in un grande palazzo in mezzo ad un giardino ed era sempre triste, a prendere il the.   Le due amiche  si sedevano sul balcone a farsi le confidenze e mio malgrado, oltre a guardare il mare, ascoltavo il loro conversare.  Non ricordo tutto quello che si dicevano ma quando parlavano del nipote tendevo l'udito perchè la cosa
mi intrigava.

Il filo

Ed ecco il racconti di un’altra amica del mio “Laboratorio”
 
Eccolo lì.
Sette e trenta del mattino, sul bus che mi porta in ufficio.Ma questa volta, no. Questa volta saprò resistere.
Lui è lì che mi tenta: bianco, sinuoso, lungo una decina di centimetri, appoggiato su un morbidissimo loden blu.
Per la precisione sulla spalla di un morbidissimo loden blu indossato da un distinto signore brizzolato, longilineo.
Sicuramente un professionista.
Sicuramente sposato, lo dice la fede all'anulare sinistro.
Che sia un professionista lo rivela la cartella in vero cuoio, firmata “The Bridge”, di certo molto pesante. Lui però la porta con disinvoltura, come fosse di tela di cotone.
E' chiaro che è uno sportivo. Ha il fisico asciutto, probabilmente un giocatore di tennis o un nuotatore, vista la dimensione delle spalle.
E, su quella destra, appoggiato con noncuranza, con andamento flessuoso, c’è la mia ossessione.
Nuovamente i miei occhi lo fissano e la mia mano sta per sollevarsi, per avvicinarsi e toccarlo.
No, l'ho già detto, questa volta no. Resisterò.
In fondo a me cosa importa se quel signore così distinto, così elegante ha sulla spalla destra del suo loden blu un lungo, sinuoso filo bianco?
A lui non da alcun fastidio, neanche se ne accorge.
Non pesa.
Cosa vuoi che sia per uno così, che regge quella cartella, portarsi anche il filo bianco addosso? Di certo non è questa banalità a svalutare una figura tanto elegante e fare di quel bell’uomo una persona trasandata.
Certo, ma a me, da fastidio.

Ricordi della guerra

Intanto grazie a Manuela per aver dato visibilità al mio straordinario"Laboratorio" rivolese. Poi alla mie età, viene voglia di raccontarvi ricordi lontani     
Spesso tra le notizie che il telegiornale ci propone apprendiamo che in, zone di guerra, sono stati bombardati civili per errore. Non posso non ricordare di aver vissuto una situazione simile.
 
      Seconda guerra mondiale  1943. Dopo il famoso armistiszio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno al confine con l’Abruzzo proprio nel mio paese San Salvo. Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci hanno fatto evacuare da San Savo verso nord. Noi siamo andati a Cupello dove mia madre aveva dei parenti. Di questo troverò dei foglietti e ne racconterò quando li trovo. Quello che volevo dire ora è che noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte ma da lì si assisteva e si sentiva i cannoggiamenti e spesso si assisteva a duelli aerei tra i due contendenti.
     Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassavano sul paese e poi rialzandosi si allontanavano.
     Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti. Nessuno più nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco e ci era sembrato un buon segno pensando che erano in arrivo gli alleati.

Etre jeune

l'originale inviatami da Maria Luisa
Auteur : Samuel Ullman
La jeunesse n'est pas une période de la vie,
elle est un état d'esprit, un effet de la volonté,
une qualité de l'imagination, une intensité émotive,
une victoire du courage sur la timidité,
du goût de l'aventure sur l'amour du confort.

On ne devient pas vieux pour avoir
vécu un certain nombre d'années;
on devient vieux parce qu'on a déserté son idéal.
Les années rident la peau;
renoncer à son idéal ride l'âme.
Les préoccupations, les doutes,
les craintes et les désespoirs
sont les ennemis qui, lentement,
nous font pencher vers la terre
et devenir poussière avant la mort.

Jeune est celui qui s'étonne et s'émerveille.
Il demande, comme l'enfant insatiable ''Et après ?''
Il défie les événements
et trouve la joie au jeu de la vie.

Vous êtes aussi jeune que votre foi.
Aussi vieux que votre doute.
Aussi jeune que votre confiance en vous-même
aussi jeune que votre espoir.
Aussi vieux que votre abattement.

Vorrei incontrarti fra cent'anni

Ed ora mi permetto di presentarvi un brano un pò forte ma che nasconde un grande dolore. Sempre del mio laboratorio. Sono stata pregata di firmarlo con uno pseudonimo.
 
Nevica.
Rincaso dopo una lunga e bella passeggiata, svogliatamente accendo la tv.
Stanno intervistando Ron che poi canta una canzone: “vorrei incontrarti fra cent'anni”.
Mi ritrovo sommerso da una valanga di pensieri.
Quale e quanto Amore in questa frase.
 
Mi vien voglia di scoprire la sequenza di sentimenti che ha generato un tal pensiero. 
Non riesco, non trovo il bandolo della matassa. Sono convinto che non si tratti di un'espressione buttata lì, con la complicità della fantasia. Non è una frase da “effetti speciali” per films.
C'è della sostanza, c'è un sentimento spesso. C'è vita.
 
Inevitabilmente la mente va nel suo passato.
Un deserto piatto. Qualche cespuglietto qua e là, il vento che fa rotolare grossi batufoli di sterpaglie e sbatacchia le superstiti persiane di casupole abbandonate, in un paesino fantasma, ormai abitato solo da scorpioni e serpentelli. 
Ossa di qualche animale morto chissà da quanto tempo, si consumano a sole.
 
Il confronto scatta inevitabile. I riflettori puntano contro me.
Sono nudo, al centro della scena, mentre velocissimamente rivedo tutta la mia vita.
Comincio a capire, perchè non capisco.
 
Ho iniziato la mia vita svogliatamente. Negli studi ero una frana, poi ho continuato ancora così.

Mia figlia

Di Maria Luisa mi piace farvi conoscere una poesia dedicata alla figlia
                                                   
Mia figlia, bisbetica e dolce,
polemica e triste,
allegra, che canta, sopporta fatica,
che scrive poesie, che replica male,
mi colloca presso il suo cuore,
che piange e che ride,
che ancor non comprende
su quale altalena la vita la ponga,
ma spera e decide,
e sceglie e lavora, perché nel suo posto
la vita si possa condurre secondo il suo intento.
Mia figlia,malata di spazio
non solo di luoghi; di mente e di affetti,
commossa e partecipe di piccoli drammi
di insetti, uccellini, gattini, esserini
travolti da un piede, dall’acqua, da incuria
di quelli più grandi, che marciano ciechi,
decisi, lontani da simili inezie.
Mia figlia, che amo, rispetto ed ammiro,
che biasimo a volte, temendo il futuro
da me immaginato secondo il mio metro.
Mia figlia. Io sono sicura
che senza il suo affetto, la sua vicinanza
la sua volontà,(benché appena nata,
“in prova”, per forza di eventi improvvisi)
io non sarei qui. E dunque le devo
se pur parzialmente, lo stesso mio dono
di un tempo: la vita, se vita si intende
la forza, la voglia, la spinta, il respiro
che non si rifiuta al passare dei giorni,
che spera con lei di trovare speranza.

micio

Una dichiarazione d’amore, al suo gatto, da parte di Maria Luisa
 
Micio rotondo
soffice palla d’affetto,
tepore nelle notti fredde
dolci fusa sul mio cuscino
corse e giochi irruenti
al mattino
per rallegrarmi,
morbido
micio grassoccio,
vicino, affettuoso,
vivace,
patetica
pelliccia viva della mamma,
tenerezza, innocenza,
gioia di starmi accanto
mio conforto,
mio sorriso,
mia consolazione.
                                                            
                                                            Maria L. Agnisetta Prodon
 
 
                                                                        
 

Amore mio aiutami

Alla lezione di venerdi, Stefano Franco Sardi ci ha regalato questo bellissimo brano:
 
[stai zitta un istante] 
Ecco ora che finalmente mi hai dato retta. Il tuo silenzio però mi trova spaesato, impreparato.
Forse ti ho chiesto la cosa sbagliata.
Probabilmente, è perchè ho ancora i meandri della mente, occupati dall'eco delle tue parole.
Finalmente ho disponibile uno spazio mio, verbale si intende, ma è come tornare alla casa di campagna, dopo tutto l'inverno. Ragnatele e polvere.
Ora quello che volevo dire, che mi era ben chiaro in testa, non lo è più.
Mi sembra un piccolo mucchietto di parole scritte piccole piccole su un foglio enorme, o come la parola fine scritta su un libro di tutte pagine bianche. Ma si potrebbe dire anche l'opposto; cioè, che ciò che vorrei dire è diventato improvvisamente enorme, un solo carattere, è già più grande della pagina che ho a disposizione.
Che confusione è esplosa nella mia testa!
 
L'istante è già passato. Vedo che la tua mimica facciale sta assumendo la configurazione di chi sta per dire qualcosa. Cerco di precederti e butto lì un: “allora”. Niente di più però, perchè nella paura di non riuscire a precederti, ho emesso il suono senza prima caricare a pieno i polmoni, quindi, anche ben avessi voluto aggiungere qualcos'altro, non avrei avuto più aria.
Lo scopo, comunque, è stato raggiunto. Tu non hai ripreso a parlare; per il momento.
Ma devo ripartire immediatamente, o perdo l'attimo. 
Sento che il tempo è scaduto; se non dico qualcosa, faccio anche la figura dell'imbecille.
 
Lei tace e mi guarda con aria di sfida.

La tua melodia

 
 
É notte, il tempo si è fermato, cammini in questa città straniera che sa di medioevo e spezie. I tuoi passi ti portano a perderti in un labirinto di vie sconosciute. In distanza senti i rintocchi di un orologio che annunciano la sera. Una melodia si alza da una via laterale, incuriosito ti infili nella via e segui quel suono. Come il pifferaio magico, il suono ti calamita verso la sua fonte. Attraversi vicoli bui, ti infili in androni che si immettono in vie parallele, passaggi costruiti quando il ghetto si estendeva ancora tra queste antiche case. Ora il suono si fa più forte, riconosci la melodia, l'hai ascoltata numerose volte. Sbuchi su una piccola piazzetta dove il selciato si è arreso a zolle di terra sconnessa. Seduto dietro a un violoncello, con la schiena che rasenta i mattoni di una chiesa, un musicista anziano fa scorrere l'archetto sul suo strumento.
Corde che gemono, che emettono un suono greve, enfatizzato dai legni della cassa.
E la suite N°1 di Bach per violoncello, come una bolla di sapone, si stacca dallo strumento e si diffonde nell'aria. Tu, riverente di tale magia, ascolti con la tua anima che si stacca dalla realtà esterna. La musica ti rende leggero, ti fa salire verso il cielo. Come un bambino che osserva una vetrina di dolci, ti senti struggere tutto. Un pensiero di gratitudine prende lentamente forma nella tua mente. Pensi a come sarebbe ancora più grigia la vita senza la musica. Ti avvicini, in punta di piedi al musicista, deponi una moneta tra il velluto liso della custodia dello strumento appoggiata a terra, poi lentamente, religiosamente, con la musica ancora nel cuore ti allontani, e il labirinto medievale della città ti inghiotte.

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