blog di john venarte

"se uno vuole restare poeta dopo i 25 anni deve sapere da dove viene" (T.S. Eliot)

 

Dal germoglio di una terra rada

Da tutto ciò che perdo per strada

Da un pugno di polvere pregno di vita

Dal bacio dolce su di una ferita

Sentirsi mancanti

Angoli diseguali

Tessere d’un mosaico indefinito.

Opachi germogli

Ibridi petali ansanti

Di un vuoto che aspira all’infinito.

Cocenti anfratti di emozioni sopite

Si rifrangono, illudendo se stesse

Sugli occhiali da sole raggi e riflessi

Che educatamente irraggi e curvi

Su chi ha il piacere di immaginare i tuoi occhi

E piacevolmente si perde nel tuo mare

Che col suo suono ti riposa

Varcai la soglia dell’oblio. Poi mi scelsi un nome. Già. Proprio così. Come si fa per gli eroi dei romanzi. Lo generai fondendo gli opposti: donna e uomo, amore e guerra, venere e marte. Il mio nome era Venarte. John Venarte.

…e viene ancora l’alba a scalfire la notte. A scagionare la luce dalle buie gabbie delle tenebre e, come una nuova genesi, a siglare il firmamento all’orizzonte. Così, giorno dopo giorno, si compie questa creazione perpetua che noi chiamiamo vita.

È poesia che si snocciola

E nelle falde discende

Al ritmo tribale di un tamburo

Danza intorno al fuoco

Con ch’emozione mano nella mano:

Per più fiate il pensier ha titubato

Ma ‘l disio in ver s’è trasmutato

Qui la gente si mischia le vite

E dalle mani si passa il pane

E dalla pelle il colore.

Poi il calore di un sguardo

Restammo uniti dopo la luce

Mentre il mare ci dettava ad alta voce:

“Il cuore prima o poi si ricuce

Le emozioni evaporano sulla brace