Se vai via
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Non sono terrestri (però)
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Scende la luna
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Passa maggio
su tentacoli verdi spinosi ostili
scoppiano rossi di tutti i toni
una domanda di perdono aliena
che poi dobbiamo vivere ancora
in questo universo tutto di tutti.
così scordare le spine potremmo
se dalle dita sbocciassero rose
a parare i graffi dell'anima oltre
i danni che ne fossero venuti.
lo sfogo spezza ogni catena poi
si placa passa come nulla stato.
i petali scossi cadono seguono rigagnoli
fangosi tra mille altre perdute bellezze
ormai rassegnati a diventare oblio
nascono bacche turgide, immemori dei fiori.
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Un mare di memoria
l'acqua
tra ciottoli
del torrente
lisci consunti
come gradini di
cattedrale antica si
incanala si fa corrente
e da uno all’altro alla valle
fluisce vitale inconscia deviata
a tratti interrotta si riprende sempre
senza meta apparente però scontata: il mare.
Così la storia dei desideri dei sogni - ansiosi spesso
che precipitano rimbalzano tra pietre lise di gaudio paure e opportunismi
giù fino agli arenili piani ordinari dove si acquietano con la fine di tutto: la memoria.
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Un aiutino, per piacere.
leggendoli ogni sera
di anacoluto in anacoluto
cado invariabilmente
nel buco dell'imbuto.
mi sta stretto di spalle
spingo mi allungo tiro
finché son tutta pelle
e non ho più un sorriso.
sporgo la testa esangue
certo di pensare ancora
faccio l'occhio di triglia
a quelli che son fora.
ci tengo a conquistarmi
un posto tra quei bravi che
cantan dolci odi e li più belli carmi.
spero mi voglian bene anche
se la fatica é tanta, vorrei
della vita, non doverci mettere
tutti i miei risparmi.
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La fanciulla in verde
E' questa, mia madre
quella a sinistra, vicino al ramo di salice
vestita di seta autarchica, verdolina
a fiori tropicali lillà,
lunghette svasata appena sopra la caviglia
e le scarpe di vernice col laccetto
che sembra un giunco, tanto è incurvata.
Coi capelli mossi ribelli tanti,
biondo pannocchia, diceva lei ridendo,
con le efelidi sulla pelle chiara
che non poteva esporre al sole
le parava col cappello di paglia a larga falda
dal nastro in tinta col vestito
che qui, noncurante, tiene appeso alla spalla
con fare divistico
il capo leggermente reclinato
l'espressione in un sorriso fatale,
da scena.
L'ho visto davvero quel cappello,
schiacciato tra la biancheria ricamata,
del prezioso corredo
quasi un cimelio della fanciullezza
che non perse mai.
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La trebbia
mi voglio benissimo
quando mi abbraccio
come il mannello
di grano il covone
e posso tranquillo
lasciare che i pensieri
vengano dal vento scossi
spillandone versi
come le spighe battute
nella trebbia rombante
per farne chicchi preziosi.
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Silenzi di parole.
a volte restano parole
dietro le labbra chiuse
forzano il cuore fino
a spingere lacrime
agli occhi per dire
quel che il cuore
vorrebbe gridare.
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Una canzone per me
tra lo stormir di fronde
frangere agli scogli d'onde
strillar di gole arrossate
nella chiostra prendersi a sassate
corse brucianti per misurarsi
tempi belli per incapricciarsi
non compresi mai l'invito
a pensare convinto
al mio destino.
poi colsi un canto alieno
eppur suadente
che attraverso l'oceano
qui giunse da occidente
quando era tempo di scelte
per crescere cosciente e
quella che il cuor mi prese
lei che lo sapeva me la lesse
per non scordarla mai
e seppur un sogno una speranza
non ci fece il nido
neppure un momento dimenticherei
il senso che ebbe nel mio percorso
la dolce voce di Frank in My Way.
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