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blog di Bruno Amore

Uno di quei giorni

talvolta tornare
a quel telo bianco
appeso alla parete
sul quale scarabocchiare
qualsiasi pensiero o movimento
una prateria un mare un cielo
ovunque per dovunque
scendere dall'astronave
in un campo indiano sioux
sul ponte della Croce del Sud
del pirata Uncino
o solamente tra i rami
vestiti di bianco del melo
nel giardino di casa.
 

Una storia, incredibile, di guerra.

 
 
Passava il fronte, così si diceva e si dice ancora. I tedeschi che risalivano, memoria di altro più vecchio simile evento, lo stivale in ritirata, verso casa loro, di là dalle Alpi, così proditoriamente e baldanzosamente valicate, incalzati qui e richiamati in patria a tentare una difesa che si annunciava drammatica: fronte russo, fronte occidentale.
I convogli : uomini, automezzi, armamenti leggeri e logistici, prevalentemente di notte, per sfuggire alla ricognizione aerea alleata, su strade secondarie tra monti e boschi, si allungano in file lente silenziose, sospettose e vigili e, a mano a mano che veniva superato un manufatto, per ritardare la marcia dei possibili inseguitori, veniva minato e fatto saltare, distrutto, alle loro spalle. Il passaggio poteva durare giorni e notti, sotto gli occhi dei bambini, delle donne e degli anziani: gli uomini validi, si tenevano a debita distanza per tema di rappresaglie.
Quando gli ultimi mezzi ebbero superato l'abitato di Orciatico (PI), la squadra artificieri del reparto, cominciò ad approntare le cariche alla base dei caseggiati prospicienti la strada rotabile-carrabile e le donne e qualche anziano, con aria sgomenta, intuendo la tragedia, mandavano lamenti e pianti, ovviamente inascoltati e loro allontanati con incomprensibili parole per difficoltà di lingua.

Amplesso

Viene su il tramonto che
persi i chiarori i colori del giorno
si spande di carminio e giallo
fa esplodere un arancio infuocato
e mi invita al torpore del riposo
verso la notte.
Tu mi copri d’un lenzuolo
di quel colore, di seta leggera
come un refolo d’aria estiva.
Mi baci le caviglie le cosce
i glutei contratti dal piacere
la schiena le spalle e ti lasci
su me dandomi il tepore del corpo.
Mi parli dolce all’orecchio
e i capelli sciolti lunghi setosi
mi accarezzano il viso
e vado in deliquio
dietro il tuo sorriso.
 

Sarò te e tu me

Quando ci prendevamo
anche in modo spiccio
in preda alla voglia di
sentirci dentro uno all’altro
e in un lampo fulmineo
tutta l’energia liquefaceva e
sorridevamo col fiato grosso
io ti leccavo il collo
e tu la fronte imperlata.
Se dicono non può bastare
vivere così per sempre
io che ti voglio tu mi vuoi
il mondo vada a farsi fottere
e baciamoci ancora a lungo
che sarò te e tu me, ancora.
 
 

Le mie creature

Le mie creature le ho messe in vetrina
modeste alcune altre meno e
tutte contengono un po’ di me.
Stanno sul banco virtuale
alla rinfusa neppure sole e vento
con poco interesse rovistate
da chi cerca molto e altro ancora
anche tra tomi ambiti per l’età residui
prose poesie d’altre realtà invendute
giacenti comunque nella teca
nel silenzio e nel clamore che li annega.
Non cerco mi si dica
tu sei bravo ne com’è bello il tuo verso
solo una carezza con gli occhi hai da lasciare
e un cenno si, per affinità
compreso dalla vena mia.
E poi vai non mi cale dove
io cerco di me piccole prove
nel tuo cuore nel suo o altrove
m’è essenziale sapere che ci sono
ad altri lasciare qualche dono.
 

Precreazione.

Sento sul collo fiati
da palandrane mefitiche
d'incensi stantii
che promettendo cieli
dei quali non dispongono
t'impongono riti modi vite
legati a tempi che non esistono
ormai fortunatamente più.
assisi su seggi dorati spandono
lampi brillanti dalle dita dal petto
e profonde voci impostate
incupiscono i tuoi sensi
per contare futuri nuovi fedeli
ai quali ancora imporre
l'otalgia.
 

Quello che senti

cade chiara la luna sulla strada
una volta conduceva a casa
ora ritaglia solo ombre di spigoli
disegna allungandoli contorni
irreali da sogno
richiami a cose passate ma
appese all'anima che
seppure hai dato quello che hai sentito
sempre in te resta
indelebilmente.

Verso Est

 
giusto l'inverno
per giustiziare il fato
rinascere ora
 
raccontarsi la vita
e rinnovarla tutta

Effetto natura

Sarà vero che gli occhi
son lo specchio ma
non so se dell'anima
oppure dell'intelletto.
chiaro però m'è sempre
quello che mi dicono
quando mi provocano
invece palese non è
perché lo fanno.
E' quella immagine soave
e l'ansia si quieta
trista quella visione
e la palpebra si bagna
visioni di carnali pudende
catturate di nascosto
anche non richieste
e le dita cerebrali
cercano contatto
il cuore s'affretta
s'avvampa il viso
e lo stigma s'arrizza.

Un piatto di pasta.

ora che tutte le foglie
stanno per lasciare il ramo
che quelle vecchie sono
dei miei lombi state humus
e questo vento non diraderà
i nembi i lampi che della tempesta
corredo fanno e ancora danno
non mi aspetto alcuna pasqua (*)
resto nel mio solo senza lagno
contento di quello che resta
del piatto di pasta
poco condito
che mi tocca.
 
* nel senso di Pesach = liberazione.
 

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