Scritto da © Bruno Amore - Gio, 25/03/2010 - 18:49
Passava il fronte, così si diceva e si dice ancora. I tedeschi che risalivano, memoria di altro più vecchio simile evento, lo stivale in ritirata, verso casa loro, di là dalle Alpi, così proditoriamente e baldanzosamente valicate, incalzati qui e richiamati in patria a tentare una difesa che si annunciava drammatica: fronte russo, fronte occidentale.
I convogli : uomini, automezzi, armamenti leggeri e logistici, prevalentemente di notte, per sfuggire alla ricognizione aerea alleata, su strade secondarie tra monti e boschi, si allungano in file lente silenziose, sospettose e vigili e, a mano a mano che veniva superato un manufatto, per ritardare la marcia dei possibili inseguitori, veniva minato e fatto saltare, distrutto, alle loro spalle. Il passaggio poteva durare giorni e notti, sotto gli occhi dei bambini, delle donne e degli anziani: gli uomini validi, si tenevano a debita distanza per tema di rappresaglie.
Quando gli ultimi mezzi ebbero superato l'abitato di Orciatico (PI), la squadra artificieri del reparto, cominciò ad approntare le cariche alla base dei caseggiati prospicienti la strada rotabile-carrabile e le donne e qualche anziano, con aria sgomenta, intuendo la tragedia, mandavano lamenti e pianti, ovviamente inascoltati e loro allontanati con incomprensibili parole per difficoltà di lingua.
Un anziano, male in arnese per le tante fatiche della vita, che conosceva qualche espressione tedesca sia per la contiguità con loro a causa della guerra in corso ma, anche, perché era stato per anni prigioniero degli austriaci durante la prima guerra, internato in una azienda agricola al lavoro coatto, tentò un approccio confidenziale con il sottufficiale che dirigeva l'attività degli artificieri. Perorando la causa della inutilità della distruzione che stavano organizzando, questo era un piccolo borgo agricolo, faceva spesso riferimento al suo periodo di prigionia e prese a domandare al militare, appena seppe essere austriaco, del suo paese, della sua famiglia. Di domanda in domanda si manifestava nell'anziano, una crescente curiosità ed animosità nell'investigare che lo straniero non limitava, accondiscendeva, in un certo senso. Il lender, il paese di provenienza, erano esattamente quelli dove lui era stato prigioniero e la domanda esiziale diventò ovvia: il nome.
"Ma tu sei...." Scoppiò il vecchio prigioniero, commuovendosi.
Era, al tempo, il bambino della famiglia presso cui lavorava, che aveva anche custodito - in qualche modo - da servitore e adesso ...
Si riconobbero, grazie ad altri particolari ma, a memoria, non si racconta se si scambiarono manifestazioni di affetto.
Furono installate e fatte esplodere due sole cariche, di basso potenziale, in modo da provocare il minimo danno ed il Sottufficiale fornì indicazioni tecniche perché potessero evitare gli effetti collaterali delle esplosioni ai fabbricati e suppellettili esposti allo spostamento d'aria delle deflagrazioni.
Non è rimasta che questa memoria di quell'evento. La figlia dell'anziano prigioniero, unica depositaria dei ricordi di quella famiglia non è, mentalmente, in grado di dire di più.
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