indarno
indarno, oh quanto indarno ancora
recherà quiete ai canti
semina che accade di seme in seme
risaliremo i calici d’ottobre
rantolando rosari senza Dio
nel vivere o tacere aratri al ventre
ed una mano, la troveremo solo
al fine delle nostre stesse braccia
sempre più in là
foci d’un dolore, il vento
zolle di lune o nubifragi
lasceremo che ci attraversino
le dita di un bambino
troviamoci un inferno a mezza croce
il peso avanti e i proverbi degli angeli
dove il pozzo non è lungo la strada
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una allegra tristezza
non è vero che racconto tristezza
sapeste come rido sguaiato
dentro di me, eppure lo pensate
non si vede, perché sto mentendo
ma rido, credetemi, sono allegro
sorrido e inghiotto lacrime amare
così con gli occhi velati io scrivo
di me, di una allegra tristezza
che mi fa ridere a furia di piangere
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le mani di Mary
Mary aveva mani piccolissime, come una bambina. D’altronde anche Mary era piccola, col suo metro e mezzo di altezza l’avresti scambiata facilmente per una dodicenne. Solo un seno decisamente fuori proporzione tradiva il suo esser donna. Capelli nero corvino incorniciavano un viso dall’espressione perennemente seria, severa, sottolineata da labbra rosso acceso naturale. Gli occhi neri, profondi ti agganciavano al primo sguardo per non mollarti più. Si lamentava spesso del suo essere piccola, tascabile, ma era orgogliosissima delle sue mani. Possedevano un’abilità rara, sapevano adeguarsi velocemente a qualsiasi attività manuale lei decidesse intraprendere, erano la sua vera e unica fortuna. Era nata in un paesino sperduto della Lucania, Rabatana di Tursi, abbarbicato su una collina rocciosa e mezzo diroccato. Paese fantasma, quasi disabitato che tra le bellezze naturali e le rarità architettoniche nascondeva la ferita profonda di quelle terre: la povertà e molto spesso l’ignoranza, sua figlia prediletta. Non fatevi ingannare dal nome decisamente “yankee” della nostra eroina, l’aveva chiamata così sua madre in memoria di un soldato americano conosciuto alla fine dell’ultima guerra, chissà come sperdutosi tra quelle rocce aspre e meravigliose che circondano Matera. Leggi tutto »
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chi ha ucciso Calimero?
L’aria nella stanza si era fatta pesante. L’imbarazzo e la consapevolezza di averla combinata grossa avevano creato una coltre così spessa che potevi tagliarla a fette. L’Art Director e il Copywriter si erano dati alla latitanza occultandosi nello sgabuzzino che ospitava la macchina distributrice di atroci merendine e pessimo caffè. Gli assistenti girellavano tra i tavoli fingendo impegni improvvisi ed improcrastinabili, uno si era addirittura affettato un’unghia con il bisturi mentre stava tagliando carte colorate. Era trasalito alla domanda che il Direttore Creativo aveva posto: Chi ha ucciso Calimero? Leggi tutto »
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a mani nude
Guardati.
Non girare la testa dall’altra parte.
Guardati.
Non hai ancora finito.
E’ duro scavare a mani nude
nella discarica dell’anima.
E’ uno sporco lavoro.
Ma va fatto.
Le unghie rotte, arriverai infine.
Potrai finalmente guardarti.
Nudo.
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l'ultima farsa
un palcoscenico è tutto ciò che io chiedo
un assito che sostenga la mia faccia tosta
per recitare una parte in cui neppure credo
e declamare verità aggiustate a bella posta
istrione, forse guitto, senz’altro una comparsa
mentre il sipario cala e il pubblico perplesso
si chiede chi mai fosse il re di questa farsa
che interpreta la vita cercandone il successo
ahimè non c’é speranza, il tempo ha inghiottito
l’ultima parvenza in me di arte declamatoria
e il pubblico che per anni spesso ho divertito
la sala ha abbandonato cercando un’altra storia
- Blog di Franco Pucci
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Un sorriso
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Pensieri
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è colpa nostra
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Strade
Un tuo sorriso viene ad aiutare
la moribonda notte.
E fu un raggio di sole.
Il mare ti si avvicina
per farti sentire il suo sussurrare.
I bimbi corrono tornando a casa,
girandoti attorno
e cantando le canzoni
che gli hai insegnato.
La vita che scorre si fa piccola
e tu la tieni in pugno,
mentre tutto il resto
crea attorno a te
strade da percorrere.
Franco
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