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I mangiatori di patate

Vincent van Gogh - I mangiatori di patate -  1885

 

Troppa terra.
Alla sera si torna
con le mani indurite dal gelo
per sfamare di essenziale il silenzio.

l’aria immobile fiocca
con la luce che cade dall’alto
come un raggio sconfitto sui volti
che scurisce l’infanzia inquieta

e non c’è ribellione
nelle mani giganti, negli sguardi raccolti
nelle facce deformi
che raccontano la fatica del giorno

Come l’ultima cena
il banchetto servito con rito solenne.
Taciturne patate scolorano l’ombra
di un inverno mai morto.

nella casa di fango
si raccontano cose
con le labbra accostate,
troppo grosse per esser baciate

I mangiatori di patate
forse sorridono ai sogni
e si attardano intorno alla tavola
nel rumore del buio colorato di terra.

e poi

e come si fanno scivolare, quelle illusioni che separano la realtà dal mistero quando ad occhi bassi guardiamo la terra con la vergogna nel cuore di essere troppo piccoli per rivelarci al cielo. quella speranza cieca ha una luce selvaggia, e mi domando, quanta sia la luce che abita in queste orbite nere quando brucia sulle pupille dell'indiferenza.

qualche volta l'aria. il soffio sui polmoni. e non c'è via di scampo. neppure un cuore artificiale. solo il don delle campane. una messa di spighe. un vento sui paveri. e poi, l'agonia dei versi in cui sostare.

 

Notturno

si compone e si scompone
la luce dell'universo

un rosso chiaro di luna
buca la tela

di un cielo di carta di riso
prima dell'alba

e la luna getta uno sguardo
discreta.
 

 

i quadri respirano

*

restiamo prigionieri
nei nostri appartamenti di parole

ma la verità
sbrina sempre i nostri volti

solo allora ci accertiamo
se i quadri respirano ancora

mescolando i ricordi
che poi si sciolgono nel sonno

*

mocambique

 

Nasce un segreto
desideroso di essere protetto,
cresce in questi Versi
in arrivo,
nutrendosi del Mistero
che trasparente si mostra
su quelle interminabili strade infuocate,
mentre incrocio anime in cammino,
irrefrenabili di fronte al ritmo
della Musica,
istintive e infallibili
mentre percorrono
la Direzione Vita,
nasce nel mio Cuore
la Certezza dell'Ignoto
la Consapevolezza che
non c'è nulla da Sapere
se non accogliere
la rasserenante natura del Dilemma.

Prima assoluta

Passi strascicati
che appartengono al passato
e non alla ragione.
Cumuli di sogni
ammonticchiati come covoni di grano
che ha perduto
il baluginio dell' oro.
Precipitato pesantemente a terra
fuco indifeso
che ha dischiuse l' ali
soltanto con la fantasia,
dissolta, anch' essa,
nella vacuità di giorni
che non contengono più un prima
né un dopo.
Guardarsi attorno
e non ravvisare traccia
di scene da prima assoluta
ma attendere
l' estrazione di un numero
che non è uscito mai.

Partire é un po' morire?

 

Anonima, decisamente anonima, una valigia come tante.
Attende aperta che rimasugli della mia vita
vengano stipati nel suo capace ventre.
Ora è lì, sul letto, vuota, in attesa. Non mi va di riempirla,
sono stanco di questi continui andirivieni.
Sto raccogliendo di nascosto pezzi di memorie felici,
con questi riempirò la vecchia valigia.
Partirò e sarà dolce morire.

(immagine da web)

 

 

Le madonne, al tempo del lutto in arme.

 
(Mormorio: - Sulle tavole un cencio, sullo scudo il morto.)
 
- La lucente punta che trapassò il ventre
a mille leghe ancora mi trapassa il seno.
Fiume su pelle oggi il latte muta
il greto di sangue che sulla cotta emerge.
 
(Mormorio: - Sulle tavole cigola il pianto di comari.)
 
Dovevi essere padre ad ogni seme
ed ogni piazza avrebbe avuto gesti dei tuoi figli:
corse a campana, salto di fossi; cerchi fuochi piogge o nevi
e feste per compleanni incauti
alle partenze.
 
(Grido: - Sugli scudi il valore di un’anima trasanda.)
 
Più fulmini starebbero nei tuoi calzari
di quanti sputi possa io alla terra,
eppure amore giacque nel corvo del lamento
piantando il becco nel tuo cuore affusto.
 
(Urlo: -  Scudi, tavole, siete la terra che lo inguaina al cielo!)
 
La giusta guerra che sapevi iniqua
scardina la porta assurda del sogno di battaglia:
La gloria è morire col nemico a fronte – è vero! –
ma più non paghi a braccia chi ti sopravvive.
 
Il serto con gli allori non mi rende madre
né questo tetto accoglie la tua ascesa al mondo.
 
(Grido, Urlo: - Scudi. Tavole. Comari. Anima. Cielo!
Ah, occhi che fuggite d’impatto il pianto!)
 
Starò un giorno a pendolo in nenia funeraria
e ventinove a lutto, ancora in questo corpo.
 
(Mormorio: - Scudo! –
Pianto e cencio.)
 

Se il destino vuole

 
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.
E’ come il vento
il destino dispettoso
non ti scompiglia le onde dei capelli
ma tutto toglie e dà
a suo completo piacimento.
 
A volte quando cerchi
solo il nulla trovi
e te ne stai lì, smarrito dentro il guscio
respiri senza per questo vivere
e attendi senza ricevere.
 
Ma quando poi decide
che è giunto il tempo dell’avere
non t’avvisa mica che è l’ora di gioire
eppure poi si nutre dei lunghi raggi gioia
dipinti sul tuo viso di fronte al suo pacchetto.
 
Galoppa senza sosta
la sua fervente fantasia
e aria pura soffia sui sogni moribondi
attivando inconsapevoli incontri
ancor meglio del più abile regista.
 
L’esistenza diventa allora come un film
madre generosa dei sorrisi meraviglia
di fronte ai tasselli incastonati
che compongono la sezione soddisfacente
del magnifico dipinto della vita.

Miti: Orfeo

Sul mito divulgato dai sacerdoti agli adepti, dai filosofi e dagli Aedi, com'è d'uopo, si è gettata a pesce, giustificatamente, una moltitudine di adolescenti di am Leggi tutto »

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