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Calzerò di baci i tuoi piedi nudi.

 
Oh, certo, i tuoi piedi nudi come un’ostia
offerta su di un sagrato di calma,
stavano ritti sul bracciolo e le dita erano rami spogli
alti sul mio capo a nascondere la promessa del tuo sorriso.
 
Bambina di quarant’anni che ridi
come quaranta bambine che giocano alle donne:
sei la somma dei colori di una gioia infantile!
E ne sei madre quanto un roseto è culto della fede nelle rose
rosa rosata del tallone che regge la tua orma
rosa bianca della sua pianta sobria.
Sfoci in un arcobaleno festoso che non si muta
come panna nel latte
o come un giuramento di vita compiuta.
E le dita si muovono infantili e ampie,
in una danza di cigni minuti.
L’aria mi ruba carezze e le dona alla culla della tua caviglia.
 
Poi, il divano è una landa di gambe che si puntano
tra gambe che pretendono dalla schiena l’assedio
e accompagnano il corpo al senso dell’ultima rosa
l’eterna rosa del mio canto
e sulle tua bocca cado, custode di una vuota faretra.
 

E vedo te

Angelo silente e bianco
nei rivoli di luna
vedo volteggiare;
e i miei vent'anni alla tua pace
adagiarsi e rifiorire
nel rincorrersi lieve,
d'ombra in ombra,
d'echi lontani e canti antichi
dal tempo nostro
disfioriti e spenti.

E l'amor mio vedo più forte che mai
riincontrar d'un fremito
nel cuore già indurito.

Fra i tuoi voli argentei
vedo un'immagine danzare:
donna non più carne,
ma oasi di luce ove
i nostri sogni fusi
continuano un bel
gioco di primavera
incominciato insieme.

Stella nova

oh! Alda
(bellissima, in Celtico)
 
Tu
ch'eri terribilmente bella
potente e fragile
pur ferita e ricucita
esplosiva sei andata
come una stella nova.
sgorgavi lava e nettare e ambrosia
morbosamente amabile
d'eros vogliosa
voce dei sensi e d'anima
quando l'amor cantavi.
mai uno sputo
uno scherno laido
anche se questo mondo
è una bettola per bravi.
hai reso il nostro poco
sopportabile
mostrandoci accessibile
il sogno che sognavi.

Un bacio in bocca

La traversata in mezzo gheriglio
                col tocco d'un dito,
quell’accidente a picco
                sul golfo d'aglio gocciante

                 ci vorrebbe un battito
una ciambella d'ananas
                      caramellata, la cinta  per te
           un bacio in bocca

spavento di pepe un po’di fumo
                     i fiori assetati il tremore
      sguardi nell'angolo in fondo
                             una caramella
il respiro rigato rientrando

Manuela

 

La voce tua

Fra tutte io la riconosco.
 
E’ onesta, la voce tua
mi fido di lei
anche quando è severa,
anche quando mi mente.
Mi attrae da sempre.
E’ suadente
convince i miei occhi a guardare oltre.
Mi tiene per mano, la voce tua
ma non mi guida,
non mi indica la strada,
mi accompagna, invece
nel mio cammino
mentre vado a casa.

Cosmogonia babilonese

L'universo babilonese e la formazione del genere umano
 
 
La cosmogonia più importante del mondo babilonese è rappresentata dal poema scritto in accadico (lingua semitica, parte della più estesa famiglia delle lingue afro-asiatiche, parlata nell'antica Mesopotamia, in particolare dagli Assiri e dai Babilonesi) “Enuma Elis” (Quando in alto). Lo scritto è stato scoperto nel 1876 tra i documenti su tavolette d'argilla della biblioteca di Assurbanipal (669 - 629 a. C.), ma indubbiamente risale a molto tempo prima, forse al tempo di Hammurabi (re di Babilonia) (1792 - 1750 a.C) o anche al tempo di Nabucodonosor (1124 - 1103) in quanto celebra la potenza del dio nazionale Marduk, assurto a tale livello dopo essere stato un dio della vegetazione, sul tipo del fenicio Baal.
Il nome Marduk deriva con tutta probabilità dal sumerico AMAR-UTUK, che vuol dire “Giovane toro del Sole”.
Marduk veniva identificato con il pianeta Giove.
           
 
“Quando in alto non era nominato il cielo

Ispirata

si chiamano spoglie
queste vesti
che mi hai cucito addosso
nell'ora degli addii
ero presente
nuda
col primo vagito tra le labbra
e il respiro immobile.
 

I nostri morti cantano

Non ho portato fiori sulla vostra tomba
troppa la distanza
tra il fiore e il cero consacrato

E se il pensiero vaga
sconfina infinito dall’universo
e viaggia dentro il sogno

o forse è la memoria che ci lega
ai ricordi segnati dall’insegnamento
alla tavola di legno e al cerchio

Orfane da troppo tempo
cambiamo le lenzuola
e le tovaglie apparecchiamo nude

e mi risuona nelle vene il canto
vivendo in terra altrui
straniera al cimitero dei trapassi.

Voglio per me

Voglio per me la tela del pittore
e scoprire nella pioggia l'ispirazione
davanti ai colori delle foglie
sul grigio vivaci stillanti di gocce
ed immagino la gara delle ninfe
a cogliere le più belle a notte
per vestirsi secondo la stagione
danzando al chiar di luna per Amore.

Lupetta mia

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Diletto è il ricordo
che di sorriso accende
la Lupetta cara
quando cucciola giaceva
nel palmo della mano
o quando
in lei fremente
il tonno scatenava
l’appassionata frenesia.
 
E zuccherina è tutt’ora
l’ansiosa Lupetta mia
rotondetta e assai pigrona
che di tutto si spaventa
e che da sempre si dispera
seppur stringata
è la mia assenza.
 
Raggiante
e senza indugio alcuno lei s’accende
ad ogni sospirato mio ritorno
anche quando la lontananza
è solo di un decimo di secondo
allorché scodinzolando fiduciosa attende
i calorosi sorsi dell’indiscusso Amore.
 
Ma allora …
 
chiara ancora non è
in lei l’ovvia cognizione
che a nulla serve implorare
anche la benché minima attenzione
perché per me

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