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Laslo

Era detenuto da quando le forze armate ONU erano riuscite a imporre un po’ di tregua in Serbia, più esattamente in Cossovo. Era stato un reparto di militari nordici ad arrestarlo, su segnalazione di un gruppo di donne, in un piccolo centro musulmano/cristiano, distrutto dalle milizie nazionaliste serbe. Alla periferia del villaggio esisteva, da secoli, una bellissima chiesa ortodossa con annesso convento di pochi frati e lì s’era rintanato e da lì fu stanato, su istigazione dei contadini che, a modo loro, intesero allontanare il pericolo che andavano affrontando. Periodicamente, nel corso della snervante sanguinosa guerra domestica, lui, faceva incursione nel villaggio, catturava ragazzi e specialmente bambini musulmani. Sempre solo, armato fino ai denti, sfrontato arrogante, che gli uomini abili del paese erano alla guerra o alla macchia. Neppure i frati del convento, intervenuti pietosamente, erano riusciti a fermarlo. Catturava i giovani maschi con la minaccia delle armi da fuoco, che aveva abbondanti, legava loro la mani dietro la schiena col fil di ferro, li portava nella legnaia del convento e, con un rito che aveva della follia, tagliava loro la gola, buttandoli poi sulla strada. Si faceva consegnare cibo e bevande, tornava nella boscaglia fino alla successiva razzia. Mai con commilitoni giovani o anziani, lui poteva avere vent’anni o poco più. Vestiva l’uniforme slava con insegne di reparto e grado, delle quali pareva fierissimo. Si era saputo di altre atrocità commesse dai serbi, stupri, mattanze di gruppi interi, sepolti poi in fosse comuni, anacronistiche rivendicazioni di sovranità perdute nel medio evo o ancor prima. E la componente religiosa a far da catalizzatore quando non possibile una motivazione più accessibile, specialmente alle popolazioni marginali dell’agricoltura e pastorizia tradizionale, più disponibili alla pacifica convivenza pratica, interreligiosa e interrazziale. Si chiamava Laslo: una cariatide assurda, solitaria e introversa, determinata a distruggere quelli che dalla propaganda politica erano stati indicati come figli del diavolo, oppressori, aggressori, anticristo e via delirando. Dagli interrogatori cui venne sottoposto emersero sconcertanti particolari sul suo addestramento, come ardito incursore. Completamente plagiato politicamente e moralmente, sentiva la sua missione altamente patriottica, liberatoria dall’odiato turco-albanese e mussulmano che calpestava la santa Serbia Cristiana. Dunque, perché i giovani maschi? perché non si riproducessero; perché quel modo barbaro di uccidere? perché sono dei maiali e così andavano uccisi, secondo l'usanza. Al campo scuola i giovani più promettenti facevano pratica su giovani porci. Gli animali venivano immobilizzati legandoli e poi gli aspiranti combattenti si ponevano a cavalcioni, con la sinistra afferravano saldamente il grugno alzandogli la testa e con la destra, armata di coltello affilato, con un colpo netto gli aprivano la gola, da guancia a guancia. Poi i porci finivano alla mensa truppa.

Sguardi

sguardi ansiosi di occhi velati da liquidi cristalli
rimandano immagini di volti dispersi tra la folla
l’attesa di te finisce nel tempo che intercorre
tra la malizia del verde di due occhi di giada
e il nero fuoco del mio sguardo che li incrocia

ora si asciugano le lacrime represse per ritegno
l’amore dimentico è perso nel volger di un attimo
come in un gioco di specchi che si riflettono
così occhi diversi raccontano una nuova storia
dove l’attesa dura solo il cenno di uno sguardo
 

E' bastato uno sguardo

mi guardavano con aria un po’ distratta
dal sotto in su fuggendo tra le ciglia
due occhi grigioverdi da consumata gatta
incrociavano i miei fingendo meraviglia

poi si sono fermati aprendosi al sorriso
allora ti ho guardato dicendomi sorpreso
da tempo questo gioco rischiarava il viso
ed alle differenze tra noi non davo peso

abbiam parlato a lungo senza aprire bocca
occhi negli occhi senza profferir parola
quando è la tua ora l’arco il dardo scocca
basta uno sguardo ed il tuo cuore vola
 

Preghiera

ho scritto di me della mia anima, del mio cuore
ho scritto di lei, la sua pazienza, il suo amore
scrivendo ho messo a nudo i miei sentimenti
parlando della mia vita, dei miei pentimenti

ora che il fiato è corto e il traguardo si avvicina
ora che ringrazio ogni giorno il ritrovar mattina
lo sguardo volge in alto, ormai senza timore
per ringraziare il cielo parla di nuovo il cuore

mi sono speso molto, ma molto ho ricevuto
la foga del presente inghiottiva ogni minuto
spesso confondendo l’amor con la ragione
toglievo alla mia vita ogni profonda emozione

non rinnego niente, ho scritto il mio destino
ebbro fino in fondo, partecipe del gran festino
con la mente sgombra e lucida ora che  è sera
l’amore e la ragione mi inducono alla preghiera

un nuovo tempo chiedo perché io abbia tempo
di raccontar la vita creando un nuovo stampo
diversamente amandola col cuore più sereno
raccoglier le emozioni vivendole appieno
 

Ci vorrebbe un trapano

anni che rigiro amore come tassello tra le mani
anni che non decido, che rimando al domani
ho l’anima sgualcita, ogni volta che l’indosso
stiro pieghe dolenti del giorno appena smesso

ci vorrebbe un gancio, un appiglio più sicuro
dove appenderla la sera dopo un giorno così duro
ho chiesto al cuore spazio per evitare brutte ferite
ma ha la scorza troppo dura, respinge questa vite

da tempo ormai vago inventando nuovi inganni
per bucare questo cuore indurito dagli affanni 
usando questo amore come provvido tassello
indosserei di nuovo l’anima come un vestito bello
 

A mio padre, sulla costa d’Amalfi.

Padre, questa sera non ti cerco a caso,
sono il solo figlio della mia nostalgia:
ero di fianco al vecchio Saracino
che sulla costa anticipa le nuvole

Ricordando Venezia

(scritta nell'autunno 1992)

Del passato
così teneramente vissuto,
che dire
perché si possa ancora
guardare con gioia?

Del futuro
che forse potremo vivere,
cosa pensare
perché possa
continuare ad esistere?

E cos'altro si può
se non tacere
di questo presente divenire
che non è ricordo
che non è speranza?

      loripanni

Conigli ebbri al parco di Monza

 
Il vino era buono
e lei aveva ricci capelli
conigli ebbri al parco di Monza.
 
Dodici lune
una per ogni notte
di quella notte.
 
Stivaletti con il tacco
i tuoi jeans attillati
biciclette e martiri
e sguardi invadenti.
 
Dodici lune
una per ogni desiderio
di quella notte.
 
E i conigli
i conigli ebbri
a guardarci
senza contare gli anni
senza contare gli anni.
 
Il vino era buono
come il tuo navigatore
come i tuoi occhi
in quella follia
il parco di Monza
scoppiava le dodici lune
tutte
una per ogni notte
una per ogni anno perduto
al parco di Monza
al parco di Monza.

Dedicato ad Hannah

Fratelli

E' solo che forse
l'odio non è sufficiente.
Somiglia all'amore
quando manca di presenza
e sa inondare di silenzio
i rumori delle strade.
Dentro le stanze chiuse
consuma e parla troppo
spesso convince e seduce.
Risponde a molti nomi
chi lo conosce lo venera
e l'invoca nelle notti
senza sonno.
Fratello d'amore
volentieri riscuote
sangue, lacrime e ossa rotte
e il conto è ricco
ché al mondo ognuno
si odia e si ama.

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