Scritto da © Winston - Gio, 11/12/2014 - 21:17
Avanzo, solo, disarticolato dell'umore divagante per cui si contraddistingue un cane, per la strada, annuso, gli angoli devìo, tutta la specie dei canidi mi è madre, sorella.
Agli addomesticatori, agli uomini, fedele, compagni di viaggio al cucciolo d'uomo che raccoglie un cucciolo, una barba d'uomo che ascoltò la fronte alta.
Come succede al cacciatore che s'alleva il figlio, scopre la traccia, mantiene tra le dita ferme, sinuose, annusa, molla, rende alla presa libero lo scivolamento a terra:
La fame.
Chi accompagna parte, rincuorato.
Accoccoliamoci, diradati cespugli, siepi, le ancor folte radure venose fatiganti folte:- cosa vuoi dire tu, hai fame, sete, un batuffolo di pelo, vedi, un batuffolo di pelo, perché io ne sono privo; vero, padre, ne sono privo perché?”
Il bimbo l'ha preso in braccio. Chi s'arrischierebbe a toglierlo?
A fronte delle categorie, mandarini, chiese, dei custodi dello spazio qui in terra, obietto il cane è libero.
Nessun padre, nessun padre, in forza d'alcuna cortigiana potrà, un giorno comandargli, è buono, la carne è pura, uccidi il tuo padrone.
La follia del sole, la rabbia forse.
Per cui muoio, vengo ammazzato come un cane.
Presso di noi diremmo:- ecco, l'occasione è buona. Latriamo, cani che non siamo altro. È stato il solleone, poteva capitare, è capitato a lui.
Nessuno era il suo nome. Disgraziato.
Dopo una settimana, nemmeno l'uomo infetto se ne ricorda più. Non l'hanno preso in tempo: morto stecchito.
Nessuno se ne ricorda più dell'uomo cane. Perché, signori, non è stato certo l'uomo a mordere, ad andare sul giornale.
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