Scritto da © Antonella Iuril... - Gio, 26/01/2012 - 15:23
"Sono molte le atrocità nel mondo e moltissimi i pericoli:
Ma di una cosa sono certo:
il male peggiore è l’indifferenza.
Elie Wiesel, premio Nobel per la pace1986
Il play non ha mai smesso di essere attuale, il genio di Brook si è rivelato di una perspicacia formidabile nel puntare il dito sull’eziologia della violenza anticipando i più recenti lavori sulla natura e le conseguenze dei trauma. Brook metteva in evidenza quella specifica attitudine della gente a non stupirsi piu di tanto, di fronte alla violenza in generale, e nello specifico del suddetto play, nei confronti di crimini contro l’umanità.
Ai tempi di Dante si sarebbe parlato di ignavi, Brook invece pose l'accento sulle conseguenze negative del trauma che alla lunga induce nelle persone un senso di torpore, un abbassamneto delle capacità di indignarsi, un silenzio interiore, una apatia da impotenza.
La violenza della guerra del Vietnam era una realtà alla quale oramai si erano assuefatti, e con essa le risposte naturali di un individuo integro e funzionale come: la paura l'indignazione, la rabbia, la vendetta e il dolore, erano scivolatae in uno stato di limbo.
To Who it may concern? Gridava la mitica Glenda Jacson denunciando la tendenza dei suoi connazionali a non interessarsi a quanto di brutale avveniva al di la delle loro mura: “Se capita a qualcun altro credono che non capiterà a loro, se è qualcun altro a farlo creono che loro non hanno fatto niente.”
Ma qual è la verità ? La mia esperienza clinica è che le vittime di abuso riferiscono spessissimo che il dolore e il senso di tradimento maggiore, non è costituito dal danno inflitto dal loro carnefice, paradossalmente per lui riescono a provare persino compassione e in certi casi persino amore. Il maggior senso di tradimento e di indignazione maggiore è nei confronti di quanti erano stai li in silenzio a guardare.
Il Silenzio dunque ancora una volta che si propone con la sua valenza negativa: la negazione rispetto a qualcosa che ci inonda, ci colpevolizza e ci lascia impotenti e in ultima analisi depressi
Peter Brook sosteneva che gli esseri umani non possono essere aperti nei confronti di tutte le atrocità che li circondano, ne vengono costantemente e silenziosamente traumatizzati, devono chiudere gli occhi altrimenti impazzirebbero. Il punto però è che la negazione produce una'altra forma di dissociazione o se vogliamo di pazzia. L'individuo è costretto a vivere "come se", in una sorta di sonno perenne che lo distanzia dalla realtà e soprattutto dal dolore, così per non sentirsi morire, muore.
Ma di una cosa sono certo:
il male peggiore è l’indifferenza.
Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza;
il contrario della vita non è la morte, ma l’indifferenza;
il contrario della vita non è la morte, ma l’indifferenza;
il contrario dell’intelligenza non è la stupidità, ma l’indifferenza.
contro di essa che bisogna combattere con tutte le proprie forze.
E per farlo un’arma esiste: l’educazione.
Bisogna praticarla. diffonderla, condividerla, esercitarla
sempre e dovunque.
Non arrendersi mai!"
sempre e dovunque.
Non arrendersi mai!"
Elie Wiesel, premio Nobel per la pace1986
“To whom it may concern”, è la missiva di Peter Brook nel suo famoso lavoro teatrale dal titolo emblematico :US.
US sta per United States, ma anche per “us” prima persona plurale, vale a dire : "noi".
Il play non ha mai smesso di essere attuale, il genio di Brook si è rivelato di una perspicacia formidabile nel puntare il dito sull’eziologia della violenza anticipando i più recenti lavori sulla natura e le conseguenze dei trauma. Brook metteva in evidenza quella specifica attitudine della gente a non stupirsi piu di tanto, di fronte alla violenza in generale, e nello specifico del suddetto play, nei confronti di crimini contro l’umanità.
Ai tempi di Dante si sarebbe parlato di ignavi, Brook invece pose l'accento sulle conseguenze negative del trauma che alla lunga induce nelle persone un senso di torpore, un abbassamneto delle capacità di indignarsi, un silenzio interiore, una apatia da impotenza.
Il play per l’appunto da un gran risalto al silenzio; il protagonista principale, la scena madre. Un silenzio potente che ha il potere di coinvolgere lo spettatore cogliendolo di sorpresa, mettendolo duramente a confronto con la propria addormentata voce interiore .
La violenza della guerra del Vietnam era una realtà alla quale oramai si erano assuefatti, e con essa le risposte naturali di un individuo integro e funzionale come: la paura l'indignazione, la rabbia, la vendetta e il dolore, erano scivolatae in uno stato di limbo.
To Who it may concern? Gridava la mitica Glenda Jacson denunciando la tendenza dei suoi connazionali a non interessarsi a quanto di brutale avveniva al di la delle loro mura: “Se capita a qualcun altro credono che non capiterà a loro, se è qualcun altro a farlo creono che loro non hanno fatto niente.”
Ma qual è la verità ? La mia esperienza clinica è che le vittime di abuso riferiscono spessissimo che il dolore e il senso di tradimento maggiore, non è costituito dal danno inflitto dal loro carnefice, paradossalmente per lui riescono a provare persino compassione e in certi casi persino amore. Il maggior senso di tradimento e di indignazione maggiore è nei confronti di quanti erano stai li in silenzio a guardare.
Il Silenzio dunque ancora una volta che si propone con la sua valenza negativa: la negazione rispetto a qualcosa che ci inonda, ci colpevolizza e ci lascia impotenti e in ultima analisi depressi
Peter Brook sosteneva che gli esseri umani non possono essere aperti nei confronti di tutte le atrocità che li circondano, ne vengono costantemente e silenziosamente traumatizzati, devono chiudere gli occhi altrimenti impazzirebbero. Il punto però è che la negazione produce una'altra forma di dissociazione o se vogliamo di pazzia. L'individuo è costretto a vivere "come se", in una sorta di sonno perenne che lo distanzia dalla realtà e soprattutto dal dolore, così per non sentirsi morire, muore.
testo e opera Antonella Iurilli Duhamel
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