Scritto da © voceperduta - Mer, 04/06/2014 - 13:46
Vaghiamo insieme, Cibele,
nel travaso delle stagioni che perdono
sovranità.
Muoiono i pini ululanti vergogna,
e dai rami scorte di aghi rimettono
in aria la cruna.
Tu prepari il tuo carro, esortando i leoni
ad aprire le ali, coronata di torri e di
brezze sul ventre allungato.
Le viti, al melograno devote, raccolgono
Attis ed il sangue rappreso su fiori e sigilli
di pietra.
Ma tu, che non rinunci al pòlos, né al nettare
di labbra assetate, apri le funi che correggono
l'uva e la stendono su raggi più fermi.
Guarda il femore della campagna come puzza
di scarti di vita; rotola e si scolora, almeno sino
a quando i rifiuti mondani lo laveranno di ceneri.
Ogni tanto, scendi nel tuo tempio con piede murato,
e banchetti adunando le ninfe che rintuzzano il
fuoco ed immolano ad Attis le tempie.
La foresta dei paredri brucia, ogni notte,
per una cicca o una guerra insepolta; le savane
spopolano di carcasse e menzogne ereditarie.
Fai in fretta, Cibele; il tuo carro parte di nuovo,
tu che non vesti più la madre terra, da quando
hai visto nel cielo la possibilità di una fuga
eterna.
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