Scritto da © voceperduta - Dom, 22/06/2014 - 11:31
La mano si sperde fra sparute persiane,
nella molle toelettatura di saponate lente,
ad ampliare la vista dall'abbaino costellato
di attese.
E' giunto nel suo triciclo, pedala forte lui;
così adatto ad affollare le piazzuole, piede
ritto per tirare sani calci ai palloni. Alla fine
torna indietro per un bacio senza troppi misteri.
Io e Glass ci guardiamo ambedue sonnolenti;
respiro di melassa dalla cucina. Lui vorrebbe
ritirarsi, non prima di allungare la zampa sull'
involucro appena lievitato.
Non sa che tra poco verrà giù un diluvio possente,
di quelli che da soli sferzano le ante dagli interni.
***
La penombra del dopo-cena, segue ogni litigio
seghettato di incomprensioni.
E' una bislacca morìa, in cui il campo delle gratitudini
si contrae fra ampie pozze di spergiuri.
Preparo sempre la valigia, per camuffarmi nel diluvio
ed uscire dissipato come un'ombra.
Ma lui agita il piede da sotto il piazzale, e calcia ogni
pallone ben distante dalla cancellata; tutto si ferma
in quello spruzzo di petunie solitarie, da dove
niente ritorna, senza qualcuno che orienti il
passo delle tue dita fra i ranuncoli di vischio.
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