Scritto da © voceperduta - Mar, 11/03/2014 - 18:25
A parlarti, quelle volte che ci riusciamo,
non sembra poi così sfatato il gelo
delle tue mani.
Anzi.
Come un crepito di corniola denso
di fervori, esso comincia a intiepidirsi,
a montare il suo rollio incespicato,
che, per ignoranza, e per un retrotenda
sfaldato, io ho sempre chiamato brivido
d'impotenza.
Ti ho scoperta mite, quando mi aspetti,
le braccia sciolte e allungate, mentre fuori
il corso pallido di neve disorienta i fanali
delle auto più forbite.
Comprensiva, e tutt'oggi non so bene
cosa voglia dire, perché sono cresciuto in
sintonia con le scappatelle di casa, con
mio padre che riempiva le sue ciotole e
mi svegliava con una botta in testa
da urlare ai matti.
Tu invece occhieggi alla finestra, e sibili
che ancora mi serve qualcosa;
A posta hai tagliato via un refolo di tenda,
per vigilarmi, ma con rispetto, a ogni mio
ritorno fuori orario, a ogni mia richiesta
controsenso.
E se quel bacio poi, quel bacio senza
assilli, rubato come uno spicciolo
dal mio salvadanaio di impegni e
lassismi, ritorna sempre sullo stesso
punto, non è per l'inerzia dei giorni
che sbattono come barattoli sugli
scaffali; è per la gioia immutabile
di un trascorso ancora vicino,
perché ogni volta che indugio
e guardo dentro, sento i brividi delle
tue mani che mi chiedono di non
restare fuori.
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