Scritto da © voceperduta - Lun, 07/04/2014 - 00:51
Fra le stelle di panzucchero ti
sporcavi le dita; il bengala che
custodivi come un fratello riversava
la ciotola inquieta a pochi palmi
da te.
Allora non c'erano i programmi di
cucina, la notorietà era sudore e
“panza dura”;sveglia alle sei, e pulizia
del piano da lavoro. Sempre che il
commendatore di turno non ti spedisse
a svuotare le urine lasciate in campo
dai commensali.
Surrogato di agrumi sparsi, e nasello
su una couvre di carciofi;
ti dissero “ben fatto”, e ti rispedirono
a condire le cosce di pollo in salmì.
Da quel momento però procedesti da solo;
t'imbarcasti su una nave che avrebbe fatto
il giro delle Americhe, col disappunto della
intera famiglia.
Tornasti che avevi un nome, e soldi a sufficienza
per demolire i rampicanti della fame.
Ti premiarono; i menù a ridosso della tua
immagine, si riempirono di stelle e pollici
svelati.
Adesso eri chef, e potevi presentarti ad
ambasciatori e capi di stato, scherzando
nel tuo dialetto, ricevendo sempre una risata
per risposta.
Capitolasti anche tu, un giorno,
ma senza mugugni, né sviolinate di sorta;
su un vassoio avevi fatto accomodare
per me una busta a trame colorate,
che altro non era se non un sottile sfoglio
di marzapane.
E tu sapevi che mi piaceva tanto.
(A mio nonno).
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