Scritto da © voceperduta - Lun, 31/03/2014 - 14:25
I tedeschi la vestirono di fustagno, per paura che fosse
altamente contaminata.
Le milizie, oscurate dal dubbio, non la fucilarono subito.
Poteva benissimo esperire da cavia per le fosse genetiche.
La rinchiusero assieme ai nuovi proscritti, nella prigione
ovattata sopra la roccia di Cuneo.
Zoe sentiva i deboli respiri dei partigiani condannati a
morire.
Il rumore della carta da lettere contro i franosi accorgimenti
sui muri, le faceva girare la testa.
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Pietà!, urlava qualcuno, pietà!
Lei non capiva quella parola, ma il rantolo schiacciato dei
visi contro il mattone scavato, le era tristemente familiare.
Così erano morti due dei suoi fratelli, nella Bucarest impantanata
nella furia sovietica.
In prigione udì qualcuno dirle, “ehi, principessa, che cosa ci fai qui?”.
Un giovane militante giunto da Parma, si era tolto gli occhiali
e la tessera prima di andarsi a riempire di spari.
“Li terresti tu per me?”.
Zoe restò coi suoi oggetti fino all'ultimo.
Fino a quando una truppa americana la rimise su un vagone
al confine con l'Alsazia.
Eyes Grain, l'avevano ribattezzata, nemmeno loro sapevano
che cosa fosse l'itterizia.
Oggi Zoe conserva ancora gli occhiali di Mirko, li usa talvolta
per leggersi le lettere di lui riportate su un libro.
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