Scritto da © Untel - Ven, 05/10/2012 - 16:38
Sulle sue gambe guizzava un falò.
L’ultima volta che la vidi era sul marciapiede
vestita come al solito da non sembrare quello che era.
Il suo corpo aspettava,
su quel corpo
vi si gettava persino la luna.
A dire il vero aspettavo anch’io
e cercavo sempre di essere l’ultimo.
Ma poi giravo la chiave nel cruscotto e partivo
senza nemmeno accendere i fari.
La luna era così violenta
così insolente
ma non schiariva abbastanza i pertugi di una menzogna.
Volevo essere l’ultimo
per trovare finalmente il coraggio di vederci dentro
e accompagnarla forse a casa.
Immaginavo
la sua mano
timida e quella disarmonia che avrebbe giocato coi sensi:
la più triste commedia di cui
non avrei mai atteso l’atto finale.
Le avrei detto:
togli pure quella faccia
e lasciala sul sedile posteriore,
amico mio.
Si fa chiamare Taide
sì, Taide di Terenzio e di Cicerone.
Lui
amava il latino.
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