Scritto da © Untel - Sab, 05/01/2013 - 14:26
C’era una volta,
tanto tempo fa. Sì, proprio una volta. Non ne facciamo una questione di tempo.
La volta era ampia, sembrava di cera e il suo splendido azzurro ricopriva tutte le cose del mondo.
Le cose del mondo però
col tempo
si sopraelevarono finché non restava che lo spazio di un ultimo mattone
sul quale un uomo
sarebbe salito per perforare la volta e guardare al di là.
Un giorno toccò ad un esperto di saldature salire su un montacarichi ed arrivare lassù
con un mattone d’alluminio.
Saldare l’ultimo mattone aveva un grande significato per la razza umana, tuttavia nessuno
sapeva dare una sostanziale risposta all’esigenza di perforarla.
Il voltanauto salì con un elettrodo di tungsteno per saldare quel leggerissimo mattone chiaro,
al sicuro sotto la cerniera della sua tuta celeste.
L’orgoglio gonfiava il suo petto, quando l’ossigeno diradava.
Nessuno mai era andato così in alto, a nessuno mai era capitato di guardare al di là
della volta azzurra, che copriva le cose del mondo con secolare perizia.
Il suo braccio immenso recingeva l’orizzonte con paternalismo.
Un predicatore alla base dell’altissima colonna d’alluminio
adunava adepti con il suo tono incalzante. Deprecava, spergiurava,
aveva già condannato l’umanità.
L’alfiere del culto voleva dissuadere l’ascesa, urlava, ordinava di scendere dal montacarichi,
di arrestare la salita, di non sfidare le leggi di Dio.
Ma il voltanauto, coi i favori dell’accademia delle scienze, arrivò lassù.
Da due giorni aveva smesso di piovere
e le nuvole sembravano angeli in matinée che si dileguavano
quasi impauriti. O increduli.
Saldò il mattone con convinzione e diligenza, poi disse:
“Questo è un piccolo mattone per un uomo ma un grande pilastro per l’umanità.”
Vi salì sopra. Si sentiva a suo agio, con i piedi ben saldi sull’estremo picco del mondo.
Con le mani fece braccia nella volta, che aveva la stessa consistenza della cera.
La aprì, la piegò verso l’esterno, e con zelo vi infilò la testa per guardare.
La volta era ormai oltrepassata.
Sarà stato per immenso stupore che il voltanauto, con la testa infilate nella breccia,
lasciò cadere l’elettrodo di tungsteno.
L’elettrodo colpì il predicatore mentre chiedeva perdono a Dio. Tacque per sempre.
Nessuno si curò di lui, soltanto i suoi discepoli che incominciarono a questuare. Sapevano già
di dover innalzare una cattedrale sulle spoglie.
La gente cominciò a chiamare il saldatore,
gli occhi della terra erano puntati lassù e attendevano trepidamente
che il voltanauto si voltasse per dire a tutti cosa c’era al di là.
“Cosa c’è? urlò il primo; “Dicci cosa c’è” fece il secondo,
poi il terzo e il quarto ancora, tutti incominciarono a berciare impazienti: “Diccelo, vogliamo sapere”.
A tutti scendeva un filo di saliva dalla punta della bocca,
un filo di brama si allungava fino a gocciolare dal mento. Tutti famelici guardavano il voltanauto,
che sembrava decapitato, con la testa nascosta nella volta. Come uno struzzo celeste impaurito.
“Perché resta così tanto tempo?” E un altro rispose:
“Perché ci sono tante cose da vedere che non smette di meravigliarsi”.
E’ probabile che il voltanauto avesse ascoltato quest’ultime parole, perché soltanto allora
tirò fuori la testa dalla breccia.
Coi capelli infeltriti guardò in basso; aveva l’aria di un Messia.
Vide un nugolo di umani attoniti e aspettò il silenzio perfetto per rispondere.
“Che cosa c’è?” Qualcuno emise un ultimo grido isolato.
Il saldatore dall’alto della colonna d’alluminio, rispose con voce bassa e tremante:
“Un’altra volta”.
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