Considerata la bella giornata, la maestra ci diceva: “Andate, approfittiamo... prendiamo un po' di aria; si giocherà un po' come si vuole.” Non mi sentivo: non volevo uscire, ma poi mi dissi: “Ce la devo fare; magari giocheremo a palla a volo: è un nuovo gioco che ci libra al cielo... e volentieri, io mi librerei.” E sono uscita, ma un pochino dopo; i maschietti si misero a giocare, come sempre, al pallone. Le mie compagne, invece optavano per palla prigioniera e formavan le squadre. Volutamente, non entrai nel gioco; sapevo già, che rimanevo sola: sempre l'esclusa. Levai lo sguardo al cielo e cominciai a vagare per il cortile sabbioso: m'apparve la collina col cimitero e, mi intristii ancor più.
Ritornavo al posto di partenza: la colonnina a destra del porticato, sulla cui base mi sedevo, a volte.
Di fronte a me erano le maestre:
Velia l'eterea dal vestito nero,
parlava volentieri con Rosina,
la maestra di quarta, ovvero
la Gelmini, che vestita di verde,
mi pareva
una lucertolina, al primo sole.
Gabriella, invece, di ruggine vestita,
mal sopportava il caldo...
A lato, l'assistente,
di cui ignoro il nome,
sperando una parola...
L'affronto di Gabriella
Non so, per qual motivo all'improvviso,
io, le maestre non le vidi più
rimaneva Gabriella:
io la guardavo:
non c'era più il sorriso accattivante...
Lei mi guardava...
Ma quasi di sbieco...
Poi... Mentre stavo per andare via...
Mi disse: “Aspetta... fai la cortesia; devo parlarti.”
Risposi: “Sono qui.”
Il dito mi puntava, perentorio
e mi diceva: “Immagina la rosa:
bella è ancor,
quando la vedi viva;
presto il giorno cadrà:
la vita allora,
ti sembrerà ostile, fredda, vuota...
Ti guarderai intorno
e sarai sola:
nessuno t'avrà accolto:
sarai un fiore
che appassisce,
mentre aspetta il sole.
Allora, stanca,
sempre più sfinita,
ricorderai
codeste mie parole:
rimpiangerai...”
E mi puntava il dito
io la guardai, mentre splendeva il sole...
Senza chinare il capo.
- Blog di Giuseppina Iannello
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