La prima automobile è come il primo amore: importantissima. Le altre macchine si dimenticano, si immergono nella nebbia del tempo…non ne ricordi che vagamente la forma e il colore. la prima ti resterà sempre dentro. Ricordi che un tergicristallo non funzionava bene, che a 80 kilometri le ruote vibravano, quelle maledette…e come dimenticare quella botta sul parafango posteriore…
La mia era una Fiat 600, porte controvento, di colore grigio topo…forse più pantegana. L'acquistai di seconda, o terza o quarta mano e penso che al momento dell'acquisto il venditore toccò il cielo con un dito…se non addirittura sprofondare nell'estasi del Nirvana. Ma per me era un salto di qualità impareggiabile.
Innanzitutto ero l'unico dei miei amici a possedere una macchina tutta sua…Avevo appena incominciato a guadagnare i primi soldini con il complesso beat " I CARDINALI" suonando il basso elettrico e cantando, e dai contratti in essere si prospettava una stagione piena di soddisfazioni e guadagni sostanziosi. Innanzitutto non sarei più dipeso per le trasferte dal padre di Sergio, il sassofonista, che con una maestosa Citroen Pallas con traino ci scorrazzava per il locali del Triveneto, spacciandosi per manager di prima classe. In secondo luogo avrei potuto approfittare delle amorose avances che immancabilmente a fine serata qualche procace e disinvolta ammiratrice proponeva….con la mia automobile veniva risolto il problema dell'alcova e del rientro a casa…
Mi sentivo quindi veramente importante, accidenti! E sin dal primo giorno mi catapultai in centro tirato su di fino come un figotto dell'alta società e con la mia Seicento lustrata e brillante come un diamante al dito di un marajà indiano…, eh sì, perché proprio un marajà mi immaginavo…come se la mia automobile fosse diventata un elefante ed io sul baldacchino a farsi ammirare dal popolo e dalle donne mentre distribuivo rupie con sguardo di sufficienza.
L'effetto di questa mia esibizione fu che la Marisa, una ragazza tutta panna e miele, e fin troppo disinvolta per quei tempi, si fece avanti immediatamente affacciandosi al finestrino mentre ancora ero al volante a motore appena spento. Curvandosi verso di me esibiva ai miei occhi strabuzzati uno spettacolo di tutto rispetto: l'inizio di una scollatura stratosferica dalla quale facevano capolino due pagnotte di carne rosea e vellutata…Mi guardò con gli occhi a gondola e sorridendo mi disse: " Non dirmi che è tua….non ci posso credere…" "Ma certo che è mia!" risposi con l'aria di chi sapeva il fatto suo e non doveva renderne conto a nessuno. Poi la guardai più intensamente, cercando di distogliere le mie pupille da quelle due bocce di lussuria, e le proposi: " Vista la splendida giornata cosa ne pensi di una corsetta sui colli e un gelatino?" Sfidò il mio sguardo con un ammiccante sorriso, si guardò intorno …"Perché no ?" e detto fatto salì sul mio elefante.
Devo premettere che tra me e la Marisa non c'era mai stato nulla, se non qualche sguardo di intesa che avrebbe fatto immaginare interessanti sviluppi amorosi. Il fatto era che la procace fanciulla non disdegnava concedere i suoi favori ai giovanotti con una marcia in più…ed io, da quel momento ero passato in quella categoria, grazie alla mia Seicento.
Il sole del pomeriggio accompagnava il rumore un po’ affaticato del motore mentre ci arrampicavamo sui tornanti dei Colli Euganei. La musichetta leggermente gracchiante dell'autoradio circondava l'interno dell'abitacolo che mi vedeva attapirato sul volante con l'occhio sinistro attento alla strada e l'occhio destro che sbirciava allupato le gambe scoperte della Marisa che quasi allungata a mò di odalisca sul sedile accompagnava con dei mugolii la melodia della canzone.
Dopo qualche chilometro la pressione dell'acqua della Seicento e la mia erano arrivate al punto di massima cottura… Intravidi finalmente un piccolo piazzale dal quale si godeva una vista meravigliosa della pianura ed era contemporaneamente ben protetto da sguardi indiscreti. Fermai l'auto che se avesse avuto la parola mi avrebbe ringraziato per averle risparmiato la sofferenza di altra strada in salita. E incominciarono le manovre, visto che con la Marisa, da quanto ne sapevo, non era necessario perdere tempo in chiacchiere…ma da quel momento mi resi conto che fare all'amore nella Seicento era un'impresa da mago Houdini. La Marisa non la si poteva definire un grissino alla Twiggy (allora tanto di moda) e non era dotata di doti contorsionistiche…fatto sta che dopo una decina di minuti di tentativi tra il cambio e il volante, con sedili che non si reclinavano per qualche difetto d'usura, e la Marisa che non voleva assolutamente collaborare assumendo posizioni da cavallerizza, decisi di agire all'esterno. Gentilmente la feci uscire dall'abitacolo e le chiesi di adagiarsi sull'erba, ma lei mi fece notare che aveva timore di sporcarsi la gonna che non voleva assolutamente togliere. Guardai l'auto e mi venne un'idea. Accostai la Marisa vicino al cofano anteriore e vidi che sarebbe bastato per lei appoggiarsi con le natiche su di esso per favorire un amplesso più comodo per entrambi.
Con tono gentile la invitai ad accomodarsi semiseduta su quel cofano e lei acconsentì, badando bene di alzare le gonne il sufficiente per sfilarsi le mutandine delicatamente ed appoggiarle sul fanale di destra. Ormai il più era fatto e iniziai a baciarla guidando mentalmente le mie mani con certosina attenzione verso il percorso che avrebbe spalancato le porte del massimo piacere. Anche la Marisa dimostrava ampia partecipazione all'amplesso, accompagnando il movimento delle anche con mugolii promettenti. Si avvicinava il momento fatidico del contatto e le menti ottenebrate non controllavano più la situazione….proprio nell'attimo fatale sentii la Marisa piegarsi all'indietro, sempre più, sempre più fino a che cademmo entrambi sul suolo erboso…ma cosa era successo? chiesi a me stesso e alzando gli occhi vidi che la mia Seicento, lentamente ma decisa, stava scivolando all'indietro verso un platano che la stava aspettando a rami aperti…urlando un "cazzooooooo" non certo inopportuno in quel momento, scattai in piedi per correre verso l'automobile e cercare di frenarla, ma non realizzai che le mie mutande erano attorcigliate alle caviglie impedendomi praticamente di muovermi… caddi come un soldato colpito dal nemico durante un assalto alla baionetta e cadendo diedi un ultimo sguardo alla Seicento che intanto sbatteva le sue terga sul platano con un sordo rumore di ferraglia ferita.
Ecco perché non dimenticherò mai più la mia prima automobile e la sua botta sul parafango posteriore. Certo non dimenticherò mai più neanche la Marisa….che da quel giorno soprannominai : "una botta e via…."
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