PARTE 6
Sin dal primo pomeriggio la spiaggia di Ipanema era affolata da Cariocas (gli abitanti di Rio) vestiti in bianco. Dall’oceano soffiava una fresca brezza che alzava fine particelle di sabbia. Scoppi di fuochi d’artificio erompevano ormai nel cielo all’intorno, e petardi scoppiettavano lungo il passaggio pedonale che correva parallelo alla spiaggia. Tutto attorno, dagli alti edifici, cadevano fuochi colorati che si rompevano in scintille d’oro e d’argento al di sotto.
Al centro della spiaggia, era stato creato un largo anfiteatro dove sarebbe avvenuta la funzione religiosa notturna, ed un gruppo di Cariocas, vestite in bianche e lunghe sottane, ma con unicamente minuscoli reggipetti, erano indaffarate nei preparativi. L’oscurità stava scendendo rapidamente e le facce di queste donne anziane, imperlate di sudori, erano rischiarate dalle luci delle candele accese all’intorno e che allungavano ombre oblique, sulle magiche figure di quelle sacerdotesse Macamba che portavano lunghe penne di struzzo, simbolo della loro gerarchia sacerdotale. I loro sguardi erano vuoti, poiché si trovavano sotto l’influenza della marijuana, che appariva come una cosa certa nei loro occhi sbarrati e senza luce propria. Ma era pure l’effetto di quella droga che nello stesso tempo, le aiutava a muovere e contorcere le loro anche seguendo i frenetici suoni delle sambe che rimbalzavano dai diversi altoparlanti sparsi all’intorno.
Mi trovavo tra la folla incalzante e cercavo pure io di aprirmi la via verso l’arena centrale, ma la moltitudine che era in fronte a me mi ostacolava. Erano tutti in preda alla frenesia dei suoni all’intorno, e gridavano a squarcia gola la loro approvazione a quelle danzatrici che si trovavano all’interno. Vidi un gruppo di sacerdotesse intente a preparare l’altare, con le offerte agli dei, ma mi chiesi, dove mai erano finiti i feticci che usavano per tale offertorio? Nelle loro mani non vedevo intestini di capre, o teste di galli sanguinanti e decapitati, o tutti gli altri simbolici feticci che sono usati come ringraziamento della festa.
Cercavo di vedere meglio, ed ero interessato in quei molteplici preparativi, e ripetevo a me stesso, ‘Vado più vicino. Voglio vedere cosa fanno...’ e cosi anch’io incominciai a spingere, dando gomitate in giro, nel tentare di avvicinarmi il più possibile alle sacerdotesse.
Ero ansioso di vedere quelle offerte, e nella mia ansia avevo completamente dimenticato l’avviso di quei miei amici che mi avevano cautelato dei rischi in cui avrei potuto cadere, cercando di assaporare il realismo di quelle feste occulte.
Non so quanto tempo mi ci volle prima che raggiunsi il circolo interno delle danzatrici. Per lungo tempo feci parte della folla ondeggiante, che spingeva che calcava. Appartenevo alla marea umana e con loro oscillavo al ritmo che veniva trasmesso attraverso la sabbia da quel frenetico battere dei piedi dei danzatori. Ero ora parte indissolubile di loro, e danzavo, guidato dal ritmo cadenzato, trasmesso nell’aria da quei frenetici suoni di trombe e tamburi.
Ad un tratto sentii che un uomo ed una donna mi erano vicini e mi presero per mano, erano Ida e Paulo sbucati da non so dove e che ora mi dirigevano verso il circolo delle danzatrici. Poi mi chiesero di unirmi nelle danze e mi offrirono un calice semipieno da cui bevvi.
Una sacerdotessa si avvicino` e mi invito` a ripeter parole a me sconosciute ed arcane mentre Ida mi faceva cenno di genuflettermi. Quello era il preambolo della mia iniziazione, ed Ida era pronta ad introdurmi nelle prossime fasi di quella strana officiazione cabalica.
Mi condusse verso tre bellissime giovani donne. Ida mi introdusse a loro, raccomandandomi, ‘Avranno cura di te nella prossima fase di preparazione del tuo corpo per divenire un accolito. Ti indicheranno cosa devi fare, e tu segui i loro comandi senza alcuna esitazione.’
Sentii che era un comando al quale non dovevo assolutamente rifiutarmi, ed annui col capo a tali parole.
Una di quelle belle ragazze mi prese per mano, dicendomi, ‘Seguici nelle danze e bevi allorché ti viene offerto un calice. Non aver alcuna paura, avremo buona cura di te.’
Ora danzavo, bevevo da quel calice ricolmo, e mi sentivo inebriato. Loro mi sorridevano, strusciando i loro corpi seminudi contro me... Sentivo il loro fiato profumato sopra il mio viso, e alla fine le vidi gettate via i loro bikini, restando in fronte a me in una poetica nudità. Mi sentii preso dal fuoco del desiderio per le mie vestali. Ora capivo poco cosa dicessero in parole, ma rispondevo ai gesti che mi facevano. Ero ipnotizzato ai loro voleri. Ero subdolo ed incapace di usare il mio volere, cosi seguii i loro comandi senza comprendere l’assurdità della mia posizione, senza rendermi conto che ero schiavo dei loro voleri. In fronte a me non vedevo altro che le loro bellezze, e le loro erotiche nudità.
‘Danza, canta con noi.’ Mi dicevano. Ed ora univano i loro corpi, strusciando le loro nudità contro la mia. Il calore dei loro corpi mi bruciava, e le loro parole divennero sempre più infuocate, ardenti. Le seguivo nei ritmi e nei suoni delle sambe, frenetiche, erotiche. Ero perso. In me non esisteva più il lume della ragione.
Poi Sonya, una delle mie danzatrici, mi disse, ’Al di sotto della linea equatoriale non e` peccato danzare in completa nudità.’ E mentre parlava, mi sbottonava la camicia. Poi la sua mano giunse al mio inguine. Vidi il suo sorriso accattivante, mentre le sue labbra si dischiusero in un bacio distruttore sulle mie. I fremiti in Sonya crescevano, sentivo che stava raggiungendo l’apice del suo desiderio sessuale. Aveva un sorriso accattivante e mi prese con forza le mani serrandole forte sulle sue natiche tonde e nude. Era impossessata dai brividi e dal delirio della musica. Vibrava tutta ed avvicino` ancor piu` strettamente il suo corpo al mio e... rimase cosi, tensa, mentre l’onda del piacere faceva tremare il suo corpo. Poi un urlo selvaggio scaturi` dalla sua gola. Sonya rimase cosi`, per un tempo indefinito. Poi sentii i suoi umori, caldi, gelatinosi, che scendevano copiosi dalla sua intimità, e scorrevano liberi, lungo le nostre cosce.
* * *
Isa e Paulo ritornarono a prendermi, ‘E` tempo di andare.’ Isa disse.
Mi prese per la mano trascinandomi tra la calca verso la congregazione che si trovava al centro dell’arena dove ben presto sarebbero iniziati i rituali finali di quella funzione religiosa.
All’intorno si udiva il canticchiare di voci sommesse, e vedevo quelle stesse sacerdotesse roteare con grazia i loro corpi, seguendo la musicalità delle preghiere. All’intorno gli accoliti se ne stavano raccolti, seguendo le preghiere declamate, per poi rispondere sommessamente con altri versi. Umilmente tenevano i loro occhi abbassati mentre erano rivolti, in segno di rispetto, verso l’altare eretto al centro dell’arena.
Nuovamente mi trovavo tra la marea umana che spingeva, chiudendosi l’un l’altro all’ingiro e precludendo ogni speranza a colui che avesse voluto andarsene. Ero l’unico uomo bianco tra la moltitudine di mulatti che si serravano attorno a me, e sentii di non essere ben accetto dai molti. Sentivo in loro un’ostilità verso di me e a quel pensiero fui preso dal panico, poiche` non esisteva via di uscita, mi sentii di essere completamente alla loro merce`. Ero intimorito a quella cruda realtà. Sapevo che mai avrei potuto attraversare quel muro di corpi umani qualora volessi scappare la ressa e fuggire da quel cerchio di folla. Ma ero io colpevole della loro collera? Era la mia temerarietà la ragione di quelle conseguenze che avrei potuto subire? Sapevo che dipendevo dalla loro clemenza, se clemenza mi fosse stata donata da quegli spiriti surriscaldati.
Quanto mi pentii allora di non aver dato ascolto alla saggezza delle parole amiche che ben mi avevano sconsigliato di partecipare a quella celebrazione idolatrica.
Ora la folla mi sospingeva ancor più verso l’altare che lo vedevo innalzarsi imponente di fronte a me. Sorgeva immenso e solido da quelle vive rocce, dalle quali era stato intagliato, e si notavano gli evidenti marchi dello scalpello dell’artista che erano ben visibili nell’intaglio dei teschi e tibie umane lasciate sul marmo dalla mano dello scultore. Vidi quei bassorilievi che erano ormai impregnati da una spessa patina giallastra lasciata dalla inclemenza dei tempi passati.
Le candele accese all’intorno riverberavano una luce sinistra su quelle sculture che ancor più accrescevano La lugubrietà su quei rozzi intagli.
Ora ero preso dall’ansia, ed attendevo che elementi malefici iniziassero presto con l’inizio delle offerte sull’altare profano. Nel mio pensiero vedevo il sangue scorrere dalle ferite inflitte alle vittime che dal piano dell’altare correva giù lungo le pareti, e che in breve tempo avrebbero tornito maggiormente quei marmi che all’origine erano biancastri. Alla funesta visione dello scorrere dei sangui delle membra dilaniate delle vittime, mi sentii attraversato da brividi di panico e mi sentii vile. Le mie ginocchia persero la forza di sostenermi oltre, e piegandosi mi trascinavano verso il suolo. In me non esisteva null’altro che terrore, un panico cieco. In più vi era la folla inferocita attorno a me, ed il tutto accrebbero ancor più la mia sofferenza. La gola si era era rinsecchita, gli occhi si chiudevano, un sudore gelido inondava il mio corpo. Gridai, ma nessuno raccolse il mio urlo terrorizzato, e la folla si strinse ancor più contro di me. Sentivo di aver perso ogni possibilità di aprirmi un varco di fuga.
A quel punto apparve la sacerdotessa che avrebbe officiato la loro messa. Era accompagnata da due giovani officianti ed andarono sull’altare. Erano adorne con lunghe catene d’oro, annodate ai loro colli che brillavano alle fioche luci all’intorno. Le sacerdotesse sfoggiavano pure altri monili, in oro ed argento, che indicavano la loro gerarchia religiosa, e come tutte le sacerdotesse Macamba, avevano le penne di struzzo sulle le loro teste, che le rendevano ancora più regali.
Poi le sacerdotesse incominciarono la messa in cantici monotoni e cadenzati, ed i fedeli rispondevano con altre litanie.
Alla fine erano giunte alla consacrazione dei fedeli al loro culto. Era l’atto di purificazione a cui tutti dovevano sottostare ed erano invitati all’altare. Ognuna delle sacerdotesse aveva tra le mani un calice d’argento intarsiato con motivi ecclesiastici, e ripieno di un liquido denso e di incerto colore che offrivano ai fedeli all’atto della comunione. Era pragmatico, in quell’atto di fede, di alzar la mano verso il cielo e socchiudere gli occhi.
Nuovamente Ida si trovava al mio fianco e gentilmente mi sospingeva verso l’altare, dove la sacerdotessa officiante, offri` pure a me il calice. Allo stesso tempo notai come il suo sguardo fosse truce, e mi poneva mille domande senza voce. Condannava la mia temerarietà di essere tra i partecipanti a quell’atto divino mescolato tra gli altri fedeli. Nel suo sguardo era chiaro il suo giudizio che io ero indegno alla purificazione del mio corpo. Mi sentii umile al cospetto della sua venerabilità ed abbassai il mio sguardo. Lo fui ancor più all’atto di bere da quel calice propiziatorio, ed esterrefatto vidi in quel liquido riflessa la mia immagine mescolata a quella dei molti altri fedeli. In quella riflessione apparivo come un passeggero su una barca, la quale si stava inabissando rapidamente nelle acque oscure e ribollenti dell’oceano. Vidi quel brigantino divenire un rottame che poi veniva risucchiato verso il fondo delle acque ribollenti e frastagliate delle onde di un possente ciclone.
Gridai intimorito, sentii che la mia vita era persa, poi mi scossi... Mi risvegliai da un sonno ipnotico nel quale ero caduto, e cercavo di appigliarmi ad un tavolone vicino in cerca di salvezza. A quel punto le forze mi mancarono e svenni... stavo annegando. Rimasi cosi, senza ricordare altro per non so quanto tempo. Potei alla fine respirare nuovamente. Al ritorno della mia coscienza quelle visioni erano fortunatamente finite.
* * *
Ero nuovamente me stesso, ed ero ora purificato dai miei peccati. La veneranda sacerdotessa mi riconobbe e venne a me. Quella era la fine di una parte dei riti celebratosi lungo quella lunga notte. La venerabile sacerdotessa mi bacio` sulle labbra e mi invito` ad unirmi agli altri prediletti che erano riuniti attorno all’altare. Le altre due sacerdotesse offrivano all’intorno bevande soporifere. Bevvi anch’io e sentii di divenire leggero e super sensibile nel mio pensiero. Poi la veneranda madre mi chiamo` a se sull’altare, dove vi erano i calici usati per la comunione. Teneva nella sua mano un acuminato coltello sacrificale. Mi tenne saldo per il polso mentre con l’altra mano incideva profondamente il mio dito medio, poi lascio` il mio sangue sgorgare libero dentro un calice sostenuto da una delle giovani sacerdotesse.
Dopo di me fu il turno degli altri conviventi ed il rito dell’incisione continuo`, mentre i sangui si unirono e mescolarono sino a riempire il calice offertorio. Fu servita una seconda comunione tra gli eletti ed anch’io con loro, bevvi dal calice offertomi, quei nostri sangui che erano stati mescolati con erbe magiche e divinatorie. La bevanda era alquanto densa, con un sapore di muschi selvatici, ma abbastanza piacevole al palato, che aveva il sapore di un cocktail di frutti esotici.
Fui soggiogato dal potere di quella bevanda divinatoria ed il mio spirito era ora sotto il controllo di un potere magico ed a me sconosciuto. Ero ora schiavo a quei poteri, ed incapace a reagire con le mie capacita` mentali. Fu a questo punto di abbandono che altri sogni premonitori avvennero. Vidi la mia immagine incisa sulla meta` di un largo specchio, mentre stranamente sulla meta` opposta appariva incisa l’immagine di Clare. All’intorno a noi bruciavano fuochi infernali. Anche lo specchio in cui erano incise le nostre immagini venne lambito dai fuochi. La parte in cui vi era l’immagine di Clare, a causa del calore, si contorse, deformandosi, e poi scomparire completamente tra le fiamme. Ma la mia parte dello specchio invece fu più resiliente e non si deformo` sicché la mia immagine rimase inalterata.
Più tardi mi chiesi quale messaggio esistesse per me nella visione di Clare divorata dalle fiamme. Era forse quello il presagio che la mia vita coniugale con Clare sarebbe cambiata al mio ritorno in Australia?
La notte stava perdendo la sua oscurita`, e l’imminente alba incominciava a schiarire a levante. Ero completamente spossato dalla lunga notte di esperienze incredibili e ripiena di riti e di cose occulte. All’intorno era ora nuovamente calma. Ero abbandonato sulle umide spiagge di Ipanema, non ancora comprendendo quanto veramente fosse accaduto. Mi sentivo infreddolito dalla salsedine marina sospinta dall’oceano, e compresi che un nuovo giorno stava nascendo. Non ero ancora completamente padrone dei miei sensi, e mi chiedevo se quanto avevo provato nella notte precedente erano esperienze reali, o il tutto era frutto della mia fantasia, causate nel bere sostanze drogate offertami durante quella lunga notte in Ipanema.
Al mio risveglio sulla spiaggia fui sorpreso nel trovarmi completamente nudo. Ero incapace di spiegare dove fossero finiti i miei indumenti. In quella nudità mi sentivo derubato dalla mia intimità personale, ed in modo razionale ero incapace di comprendere quelle cose arcane che appartenevano a quel mondo sconosciuto di cui pure io fui parte durante le tenebre notturne. Mi chiesi se il tutto fosse veramente avvenuto.
Guardandomi attorno, come amara consolazione vidi sulla spiaggia, in relativa vicinanza, uomini e donne, che erano ancora sotto uno stato di ipnosi, causato dalle droghe che avevano ingerite durante la notte precedente. Erano ancora in preda a sonni oppiati, ed al loro risveglio, si sarebbero trovati pure loro nella più completa nudità.
* * *
Quanto Joaninha mi aveva detto era pur vero. La nostra separazione ricreava in me quei tempi passati assieme a Rio. Vivevo ora in Australia ed era unicamente pensando a lei che trovavo la forza di sopravvivere.
Ricordavo spesso quanto Joaninha usava dirmi, ‘Sapesti quanto e doloroso il pensare che appartieni ad un’altra donna. Lo sai che il mio sangue e` Brasiliano ed e` caldo per natura. Il sapere che stai amoreggiando anche se solamente con lei, tua moglie, mi fa mancare il cuore. Si. mi sento gelosa. Non dimenticarti di quanto ti voglia bene. Ritieni vivi i ricordi del nostro passato. Non lasciare che il ricordo di quei giorni felici ed il mio amore per te sia contaminato dalla vita che conduci ora, nel tuo paese lontano. Ti prego, Bill, conserva nel tuo cuore il ricordo di me e del nostro passato.’
Quando venne a salutarmi all’aeroporto il giorno che partii da Rio, ci lasciammo da buoni amici. Sono ora passati tre anni da quel giorno, ed ancora ci scambiamo le nostre confidenze al telefono o sull’internet. Lei e` usa parlarmi apertamente dei suoi nuovi amori, passioni, desideri e speranze. Ma per noi il tutto e` rimasto come allora, in quei tempi lontani.
Cosi e` rimasta altrettanto buona la mia amicizia con la piccola Dolores, che rapidamente si sta` trasformando entro una giovane ed intelligente ragazza. Il suo Inglese, con l’aiuto della madre e` alquanto coretto e ci scambiavamo spesso messaggi sull’internet, e la sentivo fiera di ciò. In quei messaggi mi scriveva spesso, ‘Mi manchi Uncle Bill. Voglio sempre essere la tua bambina per te, e chissà , forse un giorno potrò venire in Australia. Sento molto bisogno del tuo aiuto.’
Fu allora che scrissi brevi storie adatte alla sua eta`, rispecchianti la vita campestre Australiana e di quei caratteristici animali che vivono qui. Ho sempre pensato a lei come un padre, mancandomi una figlia mia.
Due anni dopo il mio rientro in Australia ricevetti un messaggio di Joaninha. Era felice, e disse, ‘Oggi sono al settimo cielo. Ho ricevuto la conferma che l’Ambasciata del Brasile ha accettato la mia applicazione di lavoro nell’Ambasciata in Sacramento, California. Sarò la` entro due settimane. Quella sarà la mia garanzia di un ottimo futuro.’
Ero contento per lei, poiché negli ultimi mesi l’avevo sentita triste e preoccupata per la sua vita. Sono certo che la sua nuova vita negli Stati Uniti le donerà una nuova e più felice esistenza.
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