Siamo alla stazione, io e Rizlo. Siamo arrivati a Palermo con la solita mezzora di ritardo, mi chiedo che differenza ci sia tra Trenitalia e la merda dei cani che schiviamo coi nostri trolley. Passiamo in mezzo alla gente in coda per i biglietti. Rizlo rolla una sigaretta mentre cammina ciondolando in prossimità della biglietteria. Giochicchia con l’accendino, quando gli si avvicina un uomo di età imprecisata: dai 30 ai 55. Gli chiede qualche soldo perché deve partire. Destinazione: Milano. Rizlo caccia la mano nella tasca destra ed estrae una moneta da 2 euro. Gliela porge e ha gli occhi di chi ha fatto l’azione migliore del mondo. Si vede che si sente buono. Rizlo è un buono. Fissiamo il collo avvizzito e bitorzoluto dell’accattone. Lo liquidiamo alla svelta e procediamo a gran passi per andare a bere qualcosa. Un bell’aperitivo è quello che ti fa scrollare via di dosso la frustrazione di dover viaggiare in treno in Sicilia. Mi parlano del ponte sullo stretto e delle centrali nucleari, quei balordi. Quei venditori di sogni, quei funamboli feticisti della poltrona.
Passiamo dalla taverna e subito mi si fa incontro un volto semiconosciuto. Capelli lisci castano chiari, occhi celesti. Ci dà due cassette-sedie. Ci fa segno di accomodarci. Poi mi fissa con uno strano sorriso a metà tra l’ebete e lo sballato. Rompo il ghiaccio:
“Studi?”
“Io studio me stesso. Egologia.”
“Bene”
“Beh, sai, la burocrazia universitaria non mi piace. Finora ho dato una materia in ogni facoltà in cui mi sono iscritto. Ne ho cambiate cinque. Alla fine mi sono detto: mi iscriverò alla mia facoltà. Nella mia testa”
“E ora cosa studi?”
“No, poi ho lasciato stare l’università e mi sono messo a lavorare”
“Ah, capisco. E che lavoro fai?”
“No, da dicembre nulla. Non studio e non lavoro. Però penso molto a me stesso, alla vita. Solo che mi servono i soldi, i picciuli, capisci?”
“Eccome. Certo che ti capisco”
“No, comunque scrivo e suono”
“Ah bene. Hai un gruppo?”
“No. Suono sempre solo. Da dieci anni”
“Anche nei locali?”
“No, in salotto”
“Nel tuo salotto?”
“Sì”
“Ma lì non ti pagano”
“Eh lo so, infatti mi servono i soldi. Ma non per comprarmi i vestiti. Io uso i vestiti di mio fratello e di mio cugino, specie i pantaloni. Certo, mi vengono larghini ma metto una cinta e dico che sono un hippopparo”
“Ah beh, è una soluzione”
“No, non è una soluzione. A me stanno sul cazzo gli hippoppari. Ma almeno così non esco nudo”
“Oggi, ad esempio, una ragazza mi ha chiesto ‘ma vai a giocare a calcio?’
Ed io le ho detto di sì. Mica potevo dirle che ho finito i jeans e non mi andava di uscire in mutande!” sbanfa lui, mentre fisso i suoi pantaloncini rossi in acetato.
“E va bene, dai... però almeno ti diverti,. Ti vedo sempre tra Ballarò e il Bukowski...”
“Eh ma al Bukowski non ci posso andare più”
“Perché?”
“Ieri ero ubriaco e ho trovato un cellulare uguale al mio. E l’ho preso. Forse ho agito d’istinto, avrei dovuto chiedere prima. Ma sai... a me l’hanno rubato tre giorni fa, avevo mischiato erba, fumo, vino e birra... e quindi ho pensato che quel bastardo me l’avesse rubato”
“Ma quel bastardo chi?”
“Il mio amico”
“Ma se è tuo amico, scusa, non lo sapevi che quello era il suo?”
“Ma avevo mischiato erba, fumo, vin...”
“Ok, ho capito. Continua.”
“Ho preso il cellulare e mi sono messo in macchina. Ho pensato: controllo se è il mio, se non è il mio glielo ridò”
“E gliel’hai ridato?”
“No, me le hanno date”
“Cosa?”
“Mi hanno massacrato di botte. Io credevo che non mi avesse visto nessuno, invece se n’erano accorti e mi hanno seguito. Mi hanno aperto lo sportello e mi hanno strappato il cellulare dalle mani. Povero me, non mi hanno lasciato spiegare, mi hanno dato del pezzo di merda”
“Ma chi ti ha picchiato? Il proprietario?”
“No, lui è un amico. Me ne ha data solo una, ma controvoglia. Mi ha rispettato”
“E allora chi?”
“Lo Sbolognato. Mi ha detto: ‘non te le ha date lui, te le do io’ “
“Ma non c’entrava un cazzo lui!”
“Eh lo so. Ma meglio così. Non lo potevo vedere, almeno con questa scusa gli tolgo il saluto”
Quest’uomo è un genio, riesce a trovare il quinto lato in un quadrato.
“Ma come hai reagito?”
“Stupore, compare... appena mi è arrivato il primo pugno, mi sono detto ‘minchia che botta’, poi dopo un paio di schiaffi non mi sono chiesto più nulla. Ero solo triste. Ci ho pensato a lungo sul cesso, stamattina. Mi dicevo ‘non valgo niente, sono un fallito, un perdente’ poi mentre mi asciugavo il culo ho realizzato”
“Ah sì? bene. A che conclusione sei giunto?”
“Che lo stronzo che mi era uscito dal culo era uguale allo Sbolognato. E con la carta igienica lo coprivo, capisci? Lo facevo lentamente sparire... Sono contento così. Non sono un fallito. Ad agosto ho suonato per strada a Siracusa. Ho fatto settecento euro in una decina di giorni”
“Ah, bravo. Che suoni?”
“Il pianoforte”
“Cosa? Ma non è agevole da portar per strada...”
“No, ma per strada la chitarra. Solo che non la so suonare. Ma me ne fotto. Io studio me stesso”
Ascoltiamo divertiti le storie di questo compagno di sbronze, quando ad un tratto ci rimettiamo per strada e lui ci segue. In fondo è simpatico. Lungo il cammino ci imbattiamo in un nugolo di gente attorno ad una sagoma stesa per terra. Ci facciamo largo tra i soccorritori e i curiosi. Giunti di fronte al malcapitato, restiamo come di sasso. Era l’uomo della stazione. E ora è là, immobile. Quel treno non l’aveva mai preso. In compenso un viaggio se l’è fatto con un mezzo più veloce di quei fottutissimi treni obsoleti: la siringa. Overdose. Rizlo è sgomento. “si è ucciso, probabilmente grazie anche ai miei due euro”
“Cazzo” dico io.
“cazzo” mi fanno eco altri cinque o sei ragazzi.
“cazzo!” fa l’egologo, ma con tutt’altra intonazione. È felice, raggiante. E aggiunge: “aveva il mio telefonino! Il mio telefonino! Ho ritrovato il mio telefonino!”
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