Scritto da © Piero Lo Iacono - Lun, 18/04/2011 - 18:20
Talvolta dicevo a Montale:
«Eugenio, leggerti mi svela.
Ogni tua poesia mi mette uno specchio davanti
e mi mostra nudo,
l’adamo che sono….
“Entomologo-ecologo di me stesso!”
Brancolo di quella “morte che vive”».
E una volta mi rispose:
“La vita hai appreso cos’è, Piero?
È ignoranza. Senza speranza!”
Brandendo il suo bastone di prunalbo.
“L’ho imparato da te Eugenio,
dimoriamo dietro un muro lungo quanto l’esistenza,
viventi e rampicanti ai quali è stato ferito lo sguardo,
seguitiamo a respirare sugli ignoti passi,
nell’affanno del non esserci accorti,
del non essere avuti e stati,
sempre disimparando”.
Il dolore sfogato “a parole” canta di gaudio.
O i tanti palpiti e i tremiti varianti da un tuo verso maieuta!
Sparuti spaventi sporadici.
Cercarmi mi affina a una lama di rasoio o di cesoia.
Ma non dovrei cercare l’ago nel pagliaio!
Non dovrei se alla fine mi pungerà!
E avverrà: il grappolo separato dal raspo,
gli artigli alla gola strappati.
Che si tempri l’usignolo! E impari!
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