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Ritarda

Ritarda. Non c'è alcun motivo per questo ritardo.
Appena cinque minuti fa erano gocce, grosse come la falange del mio mignolo va bene, ma gocce; riscaldatesi nel precipizio in cui sono venute casualmente a trovarsi  dalla nuvola nera al mio cranio. Ma io non lo sentivo il loro calore, sentivo la freschezza che sprigionava il loro interno appena si rompevano, la loro consistenza di uova.
In un battibaleno le grandi gocce amiche - l'afa si era veramente mostrata insopportabile per tutto il pomeriggio facendo boccheggiare come pesci in una pozzanghera chiunque si avvicinasse a meno di trenta centimetri alla processione di vetrine di vetro rinforzato da piombo, si trovassero sia destra che a sinistra della via, con su affissi gli striscioni "Saldi da  - 50 fino a - ottanta%" risaltanti all'interno delle stesse, fosse donna  o uomo o bambino, già abbronzati, o  viso, spalle gambe ancora arrossati - hanno preso via via più consistenza fino a colorare di un grigio uniforme la strada. Il grigio ha finito per prendere il sopravvento sul varipinto delle stesse vetrine.
Allora - quando tutto si è fatto grigio - tutte quelle persone che affollavano, accalcandosi, le vetrine, prese dalla ribellione contro l'afa e il grigio, hanno preso d'assalto le porte quasi scardinandole, pur se nella maggior parte automatiche.
Una volta insediatesi dentro hanno cercato, litigandoseli quasi, i bocchettoni invisibili dell'aria condizionata e con occhi visibilmente soddisfatti hanno guardato Noi Rimasti Fuori.
Le Gocce, intanto, erano diventate Diluvio. Ora cadevano più piccole, ma della consistenza del ghiaccio che mi si forma nel frigorifero quando sto settimane senza pulirlo. Ho preso il coraggio a due mani e dalla porta della libreria da cui ero appena stato messo fuori mi sono portato, rasente al muro della vecchia casa di fianco, fino al suo angolo: l'angolo che si immette sul Corso.
Ho guardato insù chiedendomi per quale miracolo lì non venissi più colpito dalla gragnuola ed ho scoperto un cornicione sorretto da travetti dorici a sbalzo, mai notati in tanti anni, all'incirca da quando vengo messo fuori.
A tre metri, sulla sinistra, la luce della tabaccheria era ancora accesa. Ho detto a me stesso , in un fiato, "O ora o mai più" e mi sono perso il riparo dei falsi dorici appena scoperto.
Il mio rifornitore, con un sorriso sadico appena accennato all'angolo destro della bocca piegata ancor più verso destra accentuando così il suo sadismo, senza parlare, con un automatismo inverecondo, ha preso dalla scaffalatura alle sue spalle il pacchetto bianco rosso e l'ha appoggiato sul banco dalla parte " Il fumo provoca il tumore ai polmoni e alla gola" e ha lasciato la stessa mano, a cucchiaio, pronta a raccogliere le monete che faticosamente cercavo di scegliere, al tatto, nella tasca del jeans. La moglie, al suo fianco, intanto mi sorrideva con lo stesso sadico sorriso esteso, piegato verso l'angolo sinistro della bocca.
Così che mi è venuto di pensare " Sono fatti l'una per l'altro".
Uscendo di corsa, borbottando tra i denti l'abituale saluto serale, sinteticamente mandando tutti e due i coniugi al diavolo, ho riparato sotto il medesimo cornicione, stranamente rimasto libero. Lì, in tutta pace, sospirando di soddisfazione, ho scartato il pacchetto, ho estratto la prima sigaretta che mi è capitata sulle dita, ho pescato dalla stessa tasca degli spiccioli l'accendino ed ho pigiato il tasto rosso.
La brace sulla punta della sigaretta, per incanto, pur a pochi centrimetri dal diluvio, stava facendo il suo dovere: una vera amica non ti lascia mai solo.
Mi è dispiaciuto tantissimo, con un cicchetto delle dita, gettarne il mozzicone nel rivolo che mi scorreva e si ingrossava, si ingrossava avanti uno sguardo ormai perso, ma lucido quel tanto per vedere dove sarebbe andato a finire.
Aveva subito smesso di sfrigolare intanto, come fanno quei cerini rossi che i cinesi, alle feste dei morti, abbandonano con delicatezza alle acque dei loro fiumi, giallo marrone per i rifiuti delle industrie e gli esondi dei concimi sintetici sparsi sui terreni coltivati più che all'intensiva per rifornire oltre che se stessi anche l'Occidente, e si avviava appassionatamente, senza alcun timore sfaldandosi, in direzione del tombino a valle ad una decina di metri, appena rifatto a cura della Manutenzione stradale del Centro e del Forese prima della grande festa d'estate.
Si stava ingrossando sempre di più, quel rivolo non smetteva di crescere ed il mozzicone, povero, mettendoci tutte le resistenze residue di uno scarto di sigaretta, balzava a tratti sugli argini della schiena d'asino d'asfalto o sul piastrellato di granito, stretto stretto riservato ai pedoni. Invano, perché né la granulosità, né la calce ripassata proditoriamente a pennello sulle tracce divisorie dei graniti costituivano ormai per lui una radice, un alberello, un appiglio plausibile.
In sovrappiù, la grandine si stava sciogliendo in fretta sui tetti, le gronde private, impreparate, mostravano tutte le loro vecchie lacune.
C'era chi si era dimenticato di far convogliare il diluvio incanalatosi tra i coppi nel rame, affinché giungesse agli sfoghi angolari che sfociano vicino a terra, sicché nel breve tragitto che temerariamente mi accingevo a percorrere per raggiungere la mia meta, per evitare buche di profondità inimmaginabili nel fragile asfalto discioltosi  nella sabbia sottostante,  più volte incappavo in pompieri  che dall'alto cercavano di spegnermi con getti  indirizzatimi come fossi io il principio dell'incendio; c'era chi aveva dimenticato che il rame nelle gronde è essenziale, chi aveva dimenticato, per incuria o per aver pagato troppe tasse, parte rilevante delle medsime gronde.
Dovevo fare solo centicinquanta metri. Già attraversare il Corso trasformatosi in palude era stata un'impresa. "Come fa l'acqua del cielo, questo ghiaccio a palline di forma così irregolare, ad essere diventata subito gialla?" Mi ero chiesto, aspettando furioso - più volte passata al rewind la fine del veleno - le pupille forse già fiammeggiavano come quelle dei lupi notturni (ma come fanno a fiammeggiare che i lupi hanno le iridi verdi come i gatti?) - uno dei tanti cingalesi o bengalesi (o sono pakistani?) che spia il cielo giorno e notte e si piazza come apparso dal nulla all'incrocio che per forza dovrai attraversare con i suoi ombrelli da 4 - 7 euro che se poco contratti comprendendo il gioco, scendi a 3 -5 perché servono solo quella volta che la tua vita lo ha incrociato.
Oltrepassato il Corso, affondato fino oltre le caviglie, i mocassini color camoscio ridotti a scialuppe, gli orli dei jeans aggrappati alle stesse caviglie come naufraghi che non sanno nuotare, che tendessi loro qualcosa come un sospiro porterebbero a fondo anche me.
Giunto all'incrocio con la mia via, il riparo dell'estensione di venti centimetri di un tetto.
Ho rivolto l'ultimo sguardo all'insegna dei saldi del grande magazzino che taglia in due il Corso.
Turisti e domestici: alcuni mi guardano da oltre la vetrina oscurata dal piombo immessovi a loro insaputa. Molti con le ciabattine pseudoteutoniche marron rinforzate al calcagno. (Sono gli Altri) I rimanenti altri, invariabilmente azzurre infradito alla Saint Tropez, o verdi o rosa.
Il Bengalese o Cingalese o Pakistano, quando ce n'era più bisogno, non è venuto. Ho anche distolto lo sguardo dalla vetrina per vedere se arrivava, disinteressandomi completamente di chi stava all'asciutto, di chi stava tuffando le mani nei barattoli delle marmellate.
Fermi come macigni i 3 o 5 euro, uccidendolo, gli avrei, come un Serafino, sorriso. Gli avrei alzato il dito medio se l'avessi incrociato.
Pieno d'ombrelli, sugli avambracci, in mano, era fermo all'altro incrocio, quello dopo. Ed ha avuto l'ardire di offrirmente uno. "6 - 9, vuoi?".
Gli ho fatto gli occhiacci, " Non mi freghi più, bello!" e, fradicio, dopo cinque metri ho infilato la chiave nel portone. Mi sentivo al sicuro, avulso, vivace di nuovo come un merluzzo del Mare del Nord, sotto la mia galleria con soltanto un bar e la pizzeria, la fioriera completamente scentrata.
 
 

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