Scritto da © taglioavvenuto - Gio, 11/10/2018 - 20:48
Imperativo: Cambiare paradigma. Le differenze
Un programma politico seriamente credibile impone al popolo, a qualunque popolo, di adoperarsi per cambiare le differenze esistenti, in qualunque territorio viva e, in tal modo contribuire a far sparire ogni previlegio esistente.
Non saprei come chiamarlo, oggi, questo programma, Ribaltamento?
L'aveva tentato Mao Zedong, ma si rivelò: il comunismo cinese del Libretto Rosso, una cosa che solo con lui vivo, resse.
Poi è stato progressivamente abbandonato dai suoi successori, fino a trasformare la Cina nella dittatura potentissima che oggi sovrasta di fatto sia sé stessa, sia l'Occidente, cosiddetta culla della libertà, che il mondo intero rimanente.
In sostanza, con il suo comunismo dal Libretto Rosso, Mao aveva abolito le differenze tra i potenti ed il popolo comune, i meno fortunati. Chiamò i potenti a lavorare nelle comuni insieme con gli altri: gli ultimi.
Senza previlegi di sorta.
Stessa cosa aveva progettato Lenin.
Quali siano stati gli iter, i perché di queste trasformazioni radicali, come possa un enorme, spropositato anelito di libertà, marxiano, diventare qualcosa d'altro, come anche è successo in Russia con la rivoluzione bolscevica di Lenin, lo lascio alle vostre riflessioni.
Io ne lancio una." filetica "? Beh .forse, in senso lato.
Tutto procede per aggiustamenti progressivi, spinte e controspinte…”trovo in La Repubblica di tempo fa, a firma di Marco Lodoli. Il senso dell’articolo è naturalmente tutto un altro da quello che gli sto attribuendo io.
Io parlo di “Democrazia”, lui di Pasta e Fagioli, di semplicità del gusto, di fame.
Il “tutto procede per aggiustamenti progressivi, spinte e controspinte” è un concetto in effetti che si attaglia a moltissimi aspetti del vivere e, nessuno si azzarderebbe a negare, da uomini ragionevoli, che anche in questa larga accezione ci rientri l’idea politica di democrazia.
Idea nata nella repubblica ateniese quando il potere assoluto di un solo uomo sulla città volle frenarsi, ebbe prima a trasformarsi in Oligarchia,(potere allargato a pochi altri) e quindi ad altri ancora, quindi si parlò di Democrazia, da Demo, popolo.
Si trattava a ben vedere, di una pressione di questi “altri ancora” ad un quieto vivere, un facci salire anche a noi sul ponte di comando, nella stanza dei bottoni si sarebbe detto oggi, di un invito non tanto amichevole quanto supportato da una evidente minaccia sottostante: “altrimenti, con le armi o meno, ti facciamo fuori in quanto evidentemente siamo forti come te se non, insieme, di più. Pertanto, se vuoi rischiare, cavoli tuoi, sai cosa ti aspetta.”
In sostanza, succo d’arancia o di melagrana, al volere di un solo individuo si stava sostituendo quello di molti.
Ma vediamo chi erano “questi molti”.
Non certamente gli emarginati del demo, quelli che non possedendo alcunché tranne le braccia, nemmeno le armi per andare a combattere in difesa della città, avrebbero potuto far ascoltare convenientemente le loro voci ( e cosa avrebbero, quali interessi, potuto difendere possedendo nulla?) ma gli abitanti del Demo (campagna-periferia) che potevano permettersi, avendo ancorché piccole proprietà, di avere e fornire armi e cavalli, legno per le navi, che, quindi, potevano tornare utili in caso di guerre di difesa od offesa per conquistare altri territori e quindi ulteriori ricchezze.
Il peso specifico, ponderale, del voto nelle discussioni nell’Agorà, ateniese era distribuito in maniera siffatta.
Anche la Monarchia romana in origine formata e supportata da compagni d’arme, e poi maggiormente la Repubblica allargatasi al demo per le conquiste avvenute nel frattempo, con la distribuzione delle magistrature ed un oculato riconoscimento dell’equità, rispettò questa distribuzione di forze militari e, di conseguenza, politiche.
Progresso (3)
Scrive M.Heidegger quale introduzione del suo -In cammino verso il linguaggio- “l’uomo parla…s’intende dire che proprio il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo…l’uomo è uomo in quanto parla…resta però da riflettere che cosa significhi: l’uomo”.
Dopo aver dato una ulteriore scorsa principalmente a Darwin, a K.Lorenz, a K.von Frisch, a O.Magnus- la sua Historia del popolo Sami- dopo aver riletto Sini, sono sempre più convinto che “l’uomo è ciò che lascia dietro di sé: che scrive e dice e fa e suscita”.
È questo ciò che caratterizza l’uomo. Naturalmente, rispetto a un altro essere, sia uomo che non uomo, intendendo per “essere” anche gli oggetti che lo circondano, in quanto, anche questi ultimi, prodotti provenienti dalla stessa materia universale da cui lo stesso proviene.
La mia, di verità, e dicendo verità con Sini sto dicendo errore, “è che l’uomo sia, e significhi, materia come qualsiasi altra da lui differente ma, come lui, esistente- che l’uomo sia quindi un tratto dell’esistente e del per lui in-esistente, in quanto, per come egli è prodotto, (prodotto parziale) non può esserne abilitato, né ora né mai, alla conoscenza.
Per avvallare quest’ultima tesi porto J. D.Barrow, cosmologo, fisico e matematico di riconosciuta fama internazionale, il suo-Il libro degli universi- nel quale, semplificando, da atto che “se Copernico ci ha insegnato che la terra non è al centro dell’universo, oggi dovremmo accettare l’idea che nemmeno il nostro universo sia al centro dell’universo”.
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