Sul Ceresio.

Davanti a queste quiete acque lacustri vado accarezzando le mie inquietudini, come se questo sfondo calmo, col suo risciacquo lentamente posato a riva, fosse un  lenzuolo, un tela su cui proiettare l’altro film, quello che mi avvampa dentro. Il film del rumore molesto, implacabile, interminabile che mi covo in me, contro il muro silenzioso dell’acqua che mi si prostra innanzi. 
È il rumore inutile dell’ansia, delle paure, delle angustie della vita quotidiana, che ti rinserra come un vero, anche se conosci già la natura fittizia, proditoria dell’adescamento col quale, non ostante tutto, ti intrappola nella sua “sala delle torture”, delle pene ch’essa ti infligge e che te non riesci a respingere nel sottosuolo della loro vuota vanità.
E allora le desideri quelle torture ed auspichi il momento in cui esse si eserciteranno sopra di te, martoriandoti; così che infine diventi il martire delle volizioni che non vuoi, dei desideri che non hai desiderato, annaspando fra le macerie di questa fottuta, iper-tecnologica, fantasmagorica oggettività di merce morta, senza un senso, dentro, che ne suffraghi e ne faccia risorgere la necessità, ossia l’essere, la vita…