E adesso che te ne fai dei miei silenzi
delle mie piccole mani
che spostano inutilmente maree di fanghiglia dalle tempie
e non arrivano a toccare i muri
dove solo ieri ho appeso sonagli di conchiglie.
Che te ne fai delle mie vene inutilmente azzurre.
Radici fuori dai solchi. Vagano la notte.
Non resisterò al sole di tempesta.
Deserti.
E in gola l'oriente tintonero.
Dove nascondi le piogge d'orofino dio?
mille volte le ho sentite attraversarmi il nome
e i pontili dove incontrarsi a primasera
per dimenticarsi un'ora
dove li hai messi dio
dove li hai sepolti?
allora percuotimi
percuotilo forte questo dolore
che nel petto lo sai ho vecchiezza d'ulivo
quante volte ho dato fuoco ai giacigli d'amore
ma adesso non provare a fermarmi
mentre vado a morire nella terra dei gabbiani
più di così non soffrirò
i coltelli del tramonto nella schiena
inferno mi porto via sulla bocca
la linfa di un ramo che non mi ha trattenuta
e dell'arsura patita
che resta.
Aranci antichi verso riva.
- Blog di Stefania Stravato
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