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Sogno disperato 2

Si svegliò. Bisognava alzarsi. Già, alzarsi: perché? Per quell’obolo di vita spregevole, inutile, ostile di ogni giorno? Ancora per un giorno? E fino a quando?
No meglio restar fermi, così, sdraiati. Dormire forse. Sognare ancora qualcosa. Sogni belli, bellezza a buon mercato, illusioni, incantesimi… Neanche questo. Neanche  questo. Era impossibile riaddormentarsi e più impossibile ancora sognare di nuovo e assolutamente impossibile sognare qualcosa di bello. A uno così il bello era precluso. Neanche sognarlo…
Niente. Non c’erano che le due opzioni: alzarsi; restare a letto. Ma sembrava come se l’una implicasse il ripudio dell’altra,e quindi, se lo sdraiato preferiva quello in piedi, quest’ultimo non appena tiratosi a sedere ricadeva tra i cuscini, disgustato. La verità era che ambedue le cose gli ispiravano diffidenza e disgusto. Non poteva restare sdraiato; non poteva alzarsi. Avrebbe voluto non-esistere, ecco. Mica morire, questo no. Ma fare una pausa, staccarsi momentaneamente dall’esistenza, finché non fosse migliorata… almeno un po’, e poi riattaccare, magari, rimettersi in circolo, ricominciare con l’inerte e doloroso tran tran di sempre, della vita stiracchiata e inutile passata sull’iato inconcludente tra i distesi e gli eretti…
“Tra le due, l’una.”, si disse. E restò a letto. Ma non poteva durare. Le parole “dormire” e “riposare” sembrarono del tutto anacronistiche, ultramondane, e una smania, invece, cominciò quasi subito a brulicargli sotto la pelle, a formicolargli nelle vene come un sangue fatto di termiti che gli scavassero dentro. Basta. Si tirò in piedi. Forse, pensò, c’era bisogno di compagnia, di una donna. In quel momento squillò il telefono ed era sua madre, vecchia tiranna che lamentava la propria solitudine ed esigeva in cambio la sua compagnia. La mandò al diavolo, insieme alle parole “donna” e “compagnia”…
Ricadde sul letto come un fagotto vecchio, pensando al principe Nosferatu che cade abbattuto dalla luce…
Forse, il massimo della vita, considerò, poteva darsi nel superarla, nel mutarsi d’abito, nel convertirsi in non-vivi, in qualcosa che pertenesse all’al di qua, ma che pure si contaminasse col  mistero, con quel in fondo non raccapezzarci un accidente della vita- insomma con quelle tenebre aldilà che c’incombevano sopra e che sembravano l’unico schizzo d’interesse sulla letea calma del fiume della vita, nel suo letto lento in cui giacere senza gioia né desideri…
diventare un fantasma, un ectoplasma, un vampiro… essere e togliersi dall’essere, contemporaneamente… vivi e morti, felici e infelici…

oh...
allora si alzò, finalmente, si accovacciò meditabondo nella cornice della finestra, aprì le grandi ali nere e spiccò il volo. 
 

 
 

 
 

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