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Senza fama

Io che ho sempre pensato a Giacomo Leopardi come a un altro me stesso, una mia ombra quintessenziale, migliore di me, che compulsava con le sue parole i battiti del mio cuore; e io, inoltre, che ho sempre considerato come un “in sé” il tema della morte, un “in sé” ontologico, antropologico casomai, non mai soggettivo e “autografo”; io, se dovessi esprimere un ultimo desiderio davanti all’ineluttabile, direi questo: sulla mia lapide vorrei incise le parole che Leopardi pose virtualmente su quella di Filippo Ottonieri, ossia:
 
Qui giacciono le…
OSSA
Dl... (inserire mio nome e mio cognome)
NATO ALLE OPERE VIRTUOSE
E ALLA GLORIA
VISSUTO OZIOSO E DISUTILE
E MORTO SENZA FAMA
NON IGNARO DELLA NATURA
NÉ DELLA FORTUNA
SUA

Questo non perché io mi senta nato alle opere virtuose eccetera, cose (la virtù, la gloria) che casomai mi sento in grado cogliere nelle opere altrui- e mi appare già come una grandezza riuscire a discernere quella di un Michelangelo, di Bach, di Leopardi medesimo… ma perché invece mi riconosco come una fotocopia nelle parole che seguono… non fosse che non mi è riuscito di vivere intieramente ozioso come avrei “devotamente considerato”…
Ma quel “senza fama” mi s’incolla addosso come una carta moschicida: io non la voglio la fama. Detesterei sentirmi “famoso”: la parola stessa mi è indigesta e, onde pronunciarla, mi vedo costretto a metterla fra virgolette. Io sono vissuto senza fama e tale è la mia cifra. Non ho necessità di glorie “effimero-barocco”; la parola “apparire” equivale per me all’immagine dello specchio: una illusione che serve soltanto a distinguerci dai vampiri… anzi, direi che sono questi ultimi a voler apparire per forza, chissà, forse perché non v’è alcuna consistenza nelle loro riflessioni…
E non bisogna ignorare la fortuna d’essere anonimi. Sia pure antica l’accezione della parola “fortuna”, sia pure questa un destino che si è intromesso nel tuo respiro mentre cercavi invece di sputarlo fuori. La fortuna è la sorte, dice Leopardi. E ignorarla porta sfortuna. Probabilmente.
Ma esserne ignari, ignorare la propria natura, così come la propria fortuna, sia questa avversa o no, eccola qui la patacca, o la sventura, che ci appiccichiamo da soli sul nostro disperato gobbo. E in questo riconosco la mia più profonda verità: l’ostinata opposizione al suo opposto: l’ignoranza. Il non-voler sapere, la preterizione, l’omissione dell’intelligenza, impietrita davanti alla propria nullità. È forse il sapere, il riconoscere della nullità anche di questo sapere, che mette la fama in cattiva luce. E forse la fama neanche la merita la luce, essendo l’incontrario e la negazione della verità, o della nullità, cui tenta pateticamente di resistere.
Così, voglio morire senza fama e senza far finta d’averla mai assaporata.


  

 

 
 

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