Scritto da © seb11 - Lun, 10/02/2014 - 11:18
Era ormai da anni che Ischiar pativa di una squallida nausea; una nausea vitale opprimente, subdola, maligna; una nausea che si insinuava sottile nel suo corpo e nella sua mente. Ischiar aveva percorso, già a partire dagli anni della prima adolescenza, molte strade; strade di emozioni per i grandi drammi classici come ad esempio Dostojevski, strade popolate dai fantasmi del ragionamento formale come “cogito ergo sum” (o, dubbio amletico: forse cogito in quanto esisto ...). Aveva anche trovato parziale rimedio nella logica della filosofia positiva, quella filosofia che rifugge dal cavilloso e metafisico gioco di parole, ma anche questa, benché la meno peggio di tutte le alternative, era insufficiente a placare la sua depressione.
Un giorno finalmente decise di partire; partire col corpo e con la mente alla ricerca. Nel suo lungo viaggio sperimentò ogni possibile situazione estrema; essendo ricco poté trascorrere periodi di assoluto ozio, servito e riverito, nei migliori alberghi e ristoranti, dove non dovevi nemmeno faticare per accenderti una sigaretta; bastava accostare una sigaretta alle labbra perché una mano servizievole spuntasse come per incanto ad accenderla. Ma non solo questo provò; provò anche l'esatto contrario: vivendo come eremita in boschi sperduti faticò, sperimentò la fame, il freddo più estremo, il caldo più insopportabile dei deserti ... ed ancora: la vita da barbone ai margini delle metropoli, senza un letto, in mezzo alla più sordida sporcizia. Ischiar, nel suo lungo viaggio provò proprio tutto ed il contrario di tutto; dall'ozio più assoluto ai disagi più estremi; in tal modo la sua mente imparò a fronteggiare le situazioni psicologiche più forti e, visto che aveva un corpo sano e robusto ad onta della taglia alquanto esile ed allampanata, divenne anche più forte fisicamente. Imparò, ad esempio, che dove lo scontro fisico era inevitabile, come spesso capita nel caos suburbano delle periferie, non potendo competere con la semplice massa corporea o con la forza bruta, era importante la veloce determinazione: prima che un altro, più dotato fisicamente, potesse fargli del male bisognava colpire senza esitazioni, senza pietà e con la consapevolezza che certi colpi in punti vitali possono essere anche mortali; meglio un altro morto o rovinato per sempre che un danno al proprio corpo. Questa crudele e fredda determinazione divenne per Ischiar filosofia di vita vissuta, espressione viva del suo istinto vitale! Finalmente un giorno Ischiar tornò.
Questo accadde dopo che in uno dei suoi lunghi viaggi si trovò su una collina abbandonata e deserta, in mezzo ad una radura protetta da una selvaggia barriera di rami intricati e rovi spinosi; per varcare quella orrida barriera Ischiar, pur trovando un punto più favorevole al passaggio, si trovò con gli abiti semidistrutti e, quel che è peggio, con una collezione di profondi graffi sanguinanti in tutto il corpo. Incurante delle ferite e degli abiti laceri si avvicinò ad una antica costruzione semidistrutta che si ergeva in mezzo alla radura; nonostante le pessime condizioni del fabbricato si riusciva a capire che quell'edificio un tempo molto lontano era una chiesetta, un posto dove dimorava un Dio ed in cui uomini del passato andavano ad adorarlo, a pregarlo. Entrò, tra l'erba incolta nella chiesetta e vide l'impiantito che, ormai sfondato, era diventato il regno di una immensa varietà di erbe, cespugli, rovi; il tetto era squarciato e lasciava così vedere la profondità del cielo azzurro. Ischiar si soffermò ad osservare l'interno di quella chiesa morta che un tempo aveva ospitato il Dio morto che uomini morti avevano creato a loro immagine e somiglianza come droga per sopportare il peso della vita. Nella sua mente quegli uomini morti e quel Dio morto da essi creato divennero una immagine mentale vivente: per qualche istante egli amò ed adorò quel Dio la cui divinità era stata tanto grande da portarlo alla fine, alla morte, al nulla ... Ischiar in quei pochi momenti ebbe una folgorazione: capì il senso di Dio, anzi, di ogni Dio esistito e poi morto, come muoiono e si estinguono gli uomini, le loro civiltà millenarie ed i loro valori.
La consapevolezza che nulla è eterno, che il tutto ed il sempre sono solo parole vuote riempirono l'animo ed il corpo di Ischiar facendolo sentire vivo più che mai. Tutto in lui diventò chiaro in un solo istante! Fu dopo questo che Ischiar ritornò dal suo lungo viaggio e per molti anni proseguì la sua normale vita, con i normali problemi della vita, senza più nausea, in attesa che la vita, trascorrendo, si consumasse. Molti anni dopo (ma molti ... Ischiar campò, pare, sino a più di cento anni!) si spense: morì, finendo in quel nulla di cui non poteva aver piacere, dolore o altro sentimento; il nulla, nulla consente, se non la vita prima che il nulla la ingoi e la faccia sparire per sempre. La vita è fatta così, vuole finire, come fanno solo le creature nobili e divine, gli Dei: essi proprio perché sono davvero onnipotenti, onniscienti e divini aspirano alla fine.
Il fatto che le generazioni dei loro preti sopravvivano ad essi è solo umana illusione, schiavitù, ignoranza, boriosa polvere.
Ischiar
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