ho due palle
due palle io ho
io ne ho due di palle
due palle ho io
di palle ne ho due
ne ho due di palle io
io ho due palle io di palle ne ho due io palle ne ho due MINIMALISTE
come i pezzi di piano di Arvo
questo passaggio non si capisce
facciamolo durare meno
durare meno
durare
meno
doveva essere bello sentire i Beatles suonare dalla terrazza
ma oggi ho rivisto brave heart, una carneficina, le donne sognavano l'amore
gli uomini uccidono i cavalli, questo pensavo, penso che la pagheranno. certi nitriti una tribolazione. robe da ululare
comunque io dico che al meno AL MENO ognuno ha
un aquilone tra le mani, da lanciare dalla più scoscesa rupe
come l'onda perfetta per i surfisti
le termiche per gli aliantisti
là dove volano gli uccelli veleggiatori
un aquilone piccolo
piccolo piccolo
sottomisura
giusto per sembrare grande abbastanza
al meno
AVEVA
ognuno
Le ampiezze dei binari
È il treno che definisce la distanza; allontana o avvicina a seconda di dove muova l’orizzonte.
Gli amanti si baciano nelle stazioni
si dicono addio con la punta delle dita sui finestrini
maledicono l’imperiosità del fischio
Tra chi parte e chi resta un arco voltaico azzurro, un legame di luce.
Tornerò, verrai: troveremo un punto di convergenza
un luogo da cui i treni arrivino soltanto
Lo stridore dei freni creerà una pioggia di scintille,
il nostro firmamento esistenziale
L'ombra dallo scuro contorno giace a guardare il sole lassù, scruta attenta la sua posizione e di continuo come un'anima vivente accende il motore e si sposta silenziosamente da ovest ad est per seguirlo, non si perde un raggio una porzione, nemmeno quando il sole s'incurva perpendicolarmente ed è in quel momento che giace schiacciata col naso all'insù a gridare "dai muoviti ora vieni giù", buttati a terra con me e lasciami interagire con i tuoi raggi.
Il sole l'ascolta ma non manda che emissari a ragionar con lei non si può per niente al mondo sa di essere sua sorella di fatto e di scatto. Così ansima si contorce s'allunga si ritira si schiaccia si taglia ma sempre è là, fiduciosa a fargli da contorno, senza il sole l'ombra non è che un tutt'uno che crea frescura sin a che non si leva definitivamente di torno.
Io lo sò, pensa il sole, avvolgendosi per ore nel suo caldo torpore, impianterei le tende là con lei, per capir meglio cosa la porta a prendermi così sul serio, lascerei immutata la mia rotta per presagir un movimento che non sia ad addebitar alla mia corona.
Io sole sono l'altissimo riferimento di un attimo lucente trasparito come un angelo indomito e gaudente.
Ora che non mi muovo più son sicuro che per ore l'ombra che mi guarda come a dire "dai vieni giù" saprà spostarsi sola ed allora saranno guai, perchè se mai più io la vedrò vorrà dire che potrò illuminar l'universo e sarà così un portento ed io mi sentirò non più al soldo di questo mondo ma potrò viaggiar per il firmamento, girar tra le stelle a lambir forse ancora un nuovo mondo, che mi dia palese soddisfazione di riconoscermi come re al centro di questa grande illusione, in cui mi muovo lento ad accendere il giorno fino allo sgomento e della notte che io mai conobbi e vidi per intera, poichè la mia utilità è quella di illuminare da mane a sera ciò che vedo sotto i miei raggi.
Nel passar delle ore la terra si rigirò su se stessa ed il sole stanco lasciò all'ombra tutta la notte per avvolgere alla fine con un grande nero manto la terra e favorir il buio e le stelle che crescevan ad una a una come per incanto.
Se sale, è calda l'aria.
Sono aggrappata agli aquiloni con le donne che sognavano l'amore, aggrappate loro alle mie sottane, mi bevo l'ultima goccia di saggezza, il resto l'ho venduto al mercato degli inutili, non serve tastare il pianto, ho già freddo nella gola e le gambe immobili sotto la coperta del cielo, sporca, imbrattata di latte avariato, sei tu madre a riempirmi le orecchie del vento?
Io ho fiato sgualcito perduto nelle tue tasche, mi hai tradita quando mi hai partorita, non sapevi tu dell'inganno? Vivere perduti nelle paludi dei respiri per secoli e non trovare la strada che s'apre alla luce.
Fu inganno anche il mio piede, scomposto sulla via di Betlemme, non lo credo, quel gesto fa male agli occhi, crederlo è spegnere il cuore dentro il posacenere delle anime ignobili, sono graffi nella carne e Tu scomposto mi osservi in silenzio ed io riesco solo ad amarti.
Mi parli degli aironi, seppelliti nei sogni traditi dei figli indesiderati sulle coste di Baia, non sono gli orrori a fare il disonore, ma gli sguardi perduti degli aironi sulle foglie dimenticate dal vento, su alberi incapaci di toccare le stelle, appesi alle radici di un altro pianeta, quello della speranza perduta, accoccolati nel ventre del mare e sarai perduto fra le onde indegne di soffocarti, alla foce pregasti Dio ma Lui ascoltava con il cuore, perduti sono tutti i cuori sulle malferme buone intenzioni, ed io intanto precipito.
Del sole il Dio buono sul crinale dell'ultimo gesto, il sublime, pria che la luna vesta il diavolo sì caro a Pessoa e concluda in sonetti allegri, tendendo liane ad innamorati evanescenti, sul finale di inquietudini trascorse, volgo lo sguardo all'unico mio appiglio,è dell'incanto che bevo il succo, seduta ad osservare me stessa dall'altra parte, scavando nelle fosse dei poeti, traggo la linfa e sudo la vita che mi resta, nessun inganno fu più sublime madre mia, nessun inganno fu migliore di questo, l'essere in prestito sulla zolla fresca ed abbracciare il mare a tarda sera, scalare la montagna oltre una frontiera, per sentirmi straniera anch'io e scendere negli androni della comprensione, nessuna carità, non sono santa né troppo convinta ma certo è che non si spengono le stelle senza prima averle sognate.
Il guado e il ponte
Non capita mai che il guado stia fermo sotto al ponte. Non si tratta quindi di un vagabondo. Né può accadere il contrario. I ponti sono alti come le vertigini, anzi più alti dei bronchi con cui respira il paese, quelle cupole rosse che riducono l'ossigeno al vento. Sono anelli ammessi ai crepacci di traverso. Stanno sulle miriadi di dita che la Terra eleva dai capelli verdi o dalla rocciapelle. Emergono sulle valli, piantonano le rive. I ponti consentono di cucire il volo al piede, la struttura della distanza alla misura ridotta del percorso.
Il guado che teme il suo fondo, il guado indica l'arguzia dell'acqua che nasconde. Qui stramazza nella corrente veloce e ferma molecole brade nel recinto della pozza. Solletica il mistero del fosso, emerge come un bacio dalle sponde, lo evolve quandoil flusso dei corpi lo raccoglie. Il ponte riscuote l'altezza, regge la nuova epoca di passi e annienta il salto. Il guado è magro. E' vecchio come la gola, la antecede, anzi la forma. Ha una schiena bassa, curva. Ottempera alla secca quando si appoggia sui palmi. Possiede una libertà espressiva che lo sposta, ma non lo annienta. Il guado è semplice, è burlone.
L’austerità dell’arco, la sua continua estensione, l’allungamento di un discorso di pietra che non ha doveri se non portare sulla schiena le sollecitazioni, gli abbrivi della feritoria che apre nell’area dei monti. Il ponte sottoscrive il salto; non lo esercita, ne è istituzione. La rincorsa trova lo sbalzo e s’inerpica nel vuoto, slancia la distanza e pianta la sua freccia tra due cigli. Il ponte misura la linea intraprendente della congiunzione.
Il ponte, il guado, sono eteronimi dell'uomo in cammino, ovunque ti conduca.
Attendevo invano che tu ti girassi,
proseguivamo sotto i portici,
la tua faccia che celava l'unheimliche in te,
si intavvede, questa distanza, che temo.
familiarità che divide lontananza, volto osceno
che mi fa orrore, mentre luce
illumina tutto,
solo tu rimani oscuro.
Vattene a cercare albe,
i treni,
limiti da non superare.
Passione-non passione che diventa Medusa,
educazione middle class, che cerca l'oscuro
piaci-non piaci, cerchi il tuo specchio,
tu automa dell'amore,
della gentilezza del bon ton.
Maschera dell'essere,
che si trasosma nel desiderare la barretta di cioccolato,
che aspetti scivoli subdolamente nella tua mano,
Che aspetti anche un invito,
mentre dietro lo specchio si agitano quelle figure contorte
sofferenti, che domani cercherai.
Un domani già andato, da non attendere.
Nel silenzio incomunicabile,
Tu e l'estraneo, il sosia
siete soli
Vagate nell'affondo nero,
nella palude donde non si risale.
E non te n'eri accorto,
quell'estraneo dientro di te,
nessun altro,
nessuna lampada.
La scena è noir.
Sei rimasto a guardare con occhi ciechi
un nulla davanti,
un niente dietro
Completamente buio
e immobile.
Il teatro s' è svuotato
annoiato.
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