San Candido

*Qui dove abito, la luce mi batte dirimpetto da mattina a sera. Ho costruito scegliendo un gradone di roccia, a mezzacosta di uno dei tanti avamposti alpini che lasciandosi alle spalle le cime più famose della Grande Guerra, accompagnano senza soluzione di continuità il viaggiatore sulla provinciale di San Candido. 

Qualche centinaio di metri più avanti del punto d'arrivo della perpendicolare al placido rettilineo in fondo alla valle, lucido come la stagnola di un presepe, i rari automobilisti cui capiti sbadatamente di imboccare ancora questo valico, ogni volta, in vista del gabbiotto dei doganieri abbandonato lì da Schengen, invariabilmente quasi si fermano come se s'aspettassero di vedere tutt'oggi alzarsi il vetro e sbucare due visiere per chieder loro cos'abbiano da dichiarare.

Poi le macchine riprendono quel loro andare lento, rispettoso nonostante le loro cilindrate, di una pace incontaminata fatta di rotoli gialli di fieno e palizzate multicolori di verdi stesi come bucati, comparsa come per caso davanti ai loro musi fatti per l'asfalto.

Immagino, da mezzo il campo, che quell'ovattarsi di silenzi le segua a finestrini aperti fin dove la carreggiata improvvisamente s'allarga ornandosi di piccoli filari di viti ad uva bianca arrampicati su per le propaggini collinose della Stiria.

Fino alle Wasser Faelle, allo Zeller See, immersi anch'essi in mattutine sequele di nebbie e acque e prati smeraldo: una Südsteirische Weinstraße fatta di papere, pagaiate e siepi interminate di mirtilli.

Alcune di esse prolungheranno il viaggio per Salisburgo, altre, quelle coi vetri ambrati, spingeranno a manetta sui loro acceleratori per arrivare prima che faccia buio allo snodo di Vienna, o per fermarvisi.

* Da: Viaggio da San Candido.